Pasqua profanata. Il calcio spezzatino calpesta anche la Resurrezione

Cade una consuetudine che resisteva da 47 anni: le partite di serie A si disputeranno anche nel giorno di Pasqua. E' cosi in tutta Europa? Non è un buon motivo per omologarsi

di Alessandro Pedrini
Milano

Pasqua profanata. Il calcio spezzatino calpesta anche la Resurrezione

C’erano una volta le tradizioni. C’era una volta il rispetto per il sacro, per i momenti di raccoglimento spirituale, per la famiglia riunita attorno alla tavola della Pasqua. C’era, una volta, l’idea che almeno nei giorni santi si potesse sospendere la corsa sfrenata del business, della spettacolarizzazione continua, dell’intrattenimento a ogni costo. Ma ora non c’è più niente di tutto questo.

La domenica di Pasqua 2025 segna una rottura definitiva e vergognosa con una consuetudine che in Italia resisteva da 47 anni: non giocare a calcio nel giorno della Resurrezione di Cristo. Il "calcio spezzatino", figlio di logiche televisive e pubblicitarie, si è mangiato anche il giorno più sacro della cristianità.

Tre partite di Serie A fissate per domenica 20 aprile: Bologna-Inter, Empoli-Venezia, Milan-Atalanta. Tre eventi che costringeranno atleti, arbitri, forze dell’ordine, giornalisti a rinunciare alla propria Pasqua. Non solo a pranzo con i propri cari, ma soprattutto al significato profondo della festa.

Pasqua, così fan tutti? Omologarsi verso il basso non è un destino

Si è detto: “È così in tutta Europa, dobbiamo adeguarci.” No. Non dobbiamo. L’omologazione verso il basso non è un destino. Perché l’Italia è ancora, nonostante tutto, una nazione di tradizione cristiana, con radici profonde che affondano nel rispetto per la sacralità delle feste religiose.  Gli interessi delle minoranze non possono sistematicamente prevalere sul rispetto delle tradizioni condivise da una maggioranza silenziosa che chiede solo di poter vivere le proprie feste nella quiete e nella sacralità che meritano.

Che cosa resta della Pasqua se viene ridotta a uno spot con i riflettori di San Siro accesi in prima serata? Che testimonianza diamo ai giovani se perfino nel giorno della Resurrezione non siamo capaci di fermarci un momento, di sospendere il rumore, di rinunciare a una partita per tornare a ciò che conta davvero?

La Lega Serie A ha rispettato il Venerdì Santo, dicono. Ma è come lodare un ladro perché ha lasciato qualcosa nel cassetto. Non basta. Il calcio è parte integrante della cultura italiana: ha responsabilità educative, simboliche, sociali. Giocare a Pasqua non è solo un errore organizzativo. È un’offesa. È un segnale preciso: niente è più sacro, tutto è mercato.


Pasqua in campo: il solito famelico desiderio di incassi

Anche il ricordo storico non aiuta: l’ultima Pasqua con il calcio in campo, nel 1978, avvenne in un’Italia attraversata dal terrorismo, dallo choc del rapimento di Aldo Moro. Allora, forse, la scelta poteva avere un senso, come gesto di normalità in un momento drammatico. Ma oggi? Nessuna emergenza. Solo il solito, famelico desiderio di incassi, share, quote betting.

E mentre i giocatori saranno sotto i riflettori, agenti della Polizia prenderanno insulti e pietre fuori dagli stadi, mentre milioni di credenti cercheranno un senso in questa società che non sa più distinguere tra sacro e profano. La Pasqua 2025 segna una sconfitta culturale, prima ancora che religiosa. Un’altra occasione persa per affermare che la fede non è una questione privata, relegata alla sacrestia, ma una dimensione pubblica che merita rispetto.

Chi ha ancora il coraggio di indignarsi, oggi, è rimasto solo. Ma la voce dei pochi può ancora scuotere le coscienze. Perché se anche la Resurrezione diventa un intralcio al calendario delle pay TV, allora è il momento di dire basta.

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