Sant'Ambrogio, il discorso di Delpini a Milano: "Gentilezza e responsabilità"
E’ la “gentilezza”, coniugata alla responsabilità, la parola al centro del Discorso alla Città dell’arcivescovo Mario Delpini in occasione di Sant’Ambrogio
Sant'Ambrogio, il discorso di Delpini a Milano: "Gentilezza e responsabilità"
E’ la “gentilezza”, coniugata alla responsabilità, la parola al centro del Discorso alla Città dell’arcivescovo Mario Delpini, pronunciato nella Basilica di Sant’Ambrogio e intitolato “...Con Gentilezza. Virtù e stile per il bene comune”. Due “capitoli” e altrettante parole: lungimiranza e fierezza, sono evidenziate da Delpini che le collega con la virtù e lo stile della gentilezza. Nel suo Discorso, Delpini indica, infatti per i tempi che viviamo, “uno stile nell’esercizio dei ruoli di responsabilità che assicuri e rassicuri, che protegga e promuova, che offra orizzonti di speranza, anticipando, nella fermezza e nella gentilezza, il senso promettente e sorprendente della vita, con un agire non tanto e non solo solidale ma sinceramente fraterno”, afferma Delpini nella prima parte del Discorso indicando la figura di Ambrogio come “uomo di pace con la sua autorevolezza e serietà, con la sua parola persuasiva e vera. In un tempo di lotte di potere, di imperatori deboli e di usurpatori violenti Ambrogio fu presenza lucida e operatore di riconciliazione”.
E così, afferma Delpini, “in questo nostro tempo confuso, di frenetica ripresa e profonda incertezza, che tende a censurare un vuoto interiore, chi ha la responsabilità del bene comune è chiamato a essere autorevole punto di riferimento con discorsi seri e azioni coerenti, con la saggezza di ricondurre le cose alle giuste dimensioni, di sorridere e di far sorridere”, dice tra l’altro evidenziando il nostro tempo come caratterizzato da “esplosioni di rabbie irrazionali” a cui “chi ha responsabilità” deve rispondere tenendo “i nervi saldi ed esercitando “un saggio discernimento”. Per Delpini, quindi, “in un tempo di fatica esistenziale per tutti, per il crescere dell’ansia, a seguito della interminabile pandemia, occorre uno stile nell’esercizio dei ruoli di responsabilità che assicuri e rassicuri, che protegga e promuova, che offra orizzonti di speranza, anticipando, nella fermezza e nella gentilezza, il senso promettente e sorprendente della vita, con un agire non tanto e non solo solidale ma sinceramente fraterno. L’esercizio della responsabilità richiede una dura ascesi per coniugare fermezza e gentilezza, giudizio sulle azioni e rispetto per le persone, pazienza e determinazione, pensiero lucido e parola amabile”.
Soffermandosi sulla gentilezza, Delpini sottolinea: “Per il servizio al bene comune”, tra le altre virtù è “necessario uno stile che forse possiamo definire con la virtù della gentilezza. Per gentilezza non intendo solo le “buone maniere”, ma quell’espressione della nobiltà d’animo in cui si possono riconoscere la mitezza, la mansuetudine, la finezza nell’apprezzare ogni cosa buona e bella, la fermezza nel reagire all’offesa e all’insulto con moderazione e pazienza”. L’arcivescovo, quindi, sottolinea un altro aspetto: “Chi ha responsabilità nella vita della città e di ogni comunità non può sottrarsi alla pressione dell’urgenza per le emergenze che talora scuotono il convivere degli uomini e delle donne. Succede, però, che il singolo individuo, incline a pensare solo a sé e a ritenersi il centro dell’universo, secondo un individualismo troppo diffuso e troppo approvato, ritenga che i suoi desideri, bisogni, pretese, tutto sia legittimo e urgente. La saggezza – dice Delpini - suggerisce di avere tempo e animo per considerare le situazioni e le richieste, le proteste e le pretese con un certo distacco per distinguere nell’immediato le emergenze vere e le urgenze arti- ficiosamente create. Nello stesso tempo la saggezza richiede l’attitudine e la pratica della lungimiranza”.
E’ la famiglia per l’arcivescovo Mario Delpini, la proprità a cui gli amministratori devono guardare: “La promozione delle condizioni che rendano desiderabile e possibile la formazione delle famiglie è la priorità irrinunciabile”, afferma nel suo Discorso alla Città in Sant’Ambrogio. “La famiglia è principio generativo della società se è stabile, se trova nella società condizioni di vita serene, sane, per la disponibilità di case accessibili, per occasioni di lavoro propizie, per il sostegno necessario alla paternità e alla materntà responsabili, per alleanze educative che rendano l’educazione l’impresa comune che semina in città un futuro desiderabile. Troppi drammi si consumano tra le mura domestiche per troppa solitudine, per troppa aggressività, per troppi problemi che non trovano una mano tesa ad aiutare”, evidenzia l’arcivescovo che anche nelle relazioni familiari, tra marito e moglie ‘chiama’ le persone alla cura della “gentilezza”: “Quanto è importante per i figli poter vedere i genitori che si trattano con gentilezza, anche nell’affrontare le tensioni che inevitabilmente emergono in famiglia”.
“La crisi demografica che minaccia di condannare all’estinzione la nostra popolazione – aggiunge - non si risolve solo con l’investimento di risorse materiali in incentivi e forme di assistenza, ma certo se gli investimenti e i provvedimenti, la legislazione e le delibere sono orientati a favorire chi preferisce non farsi una famiglia, non avere figli, chi vorrebbe formarsi una famiglia e avere figli si sentirà più solo”.
I giovani sono la seconda priorità a cui guarda l’arcivescovo Mario Delpini. “L’emergenza educativa deve richiamare l’attenzione di tutti non solo nello sconcerto di episodi di cronaca impressionanti per aggressività, degrado, depressione”, afferma nel suo Discorso alla Città pronunciato in Sant’Ambrogio. “La stagione indefinita del Covid-19 ha diffuso, soprattutto negli adolescenti e nei giovani, svariate forme depressive, con un aumento considerevole dei disturbi alimentari sino alle forme estreme della bulimia, dell’anoressia, del buttar via la vita nei rischi estremi e nel suicidio”. Delpini rilancia la necessità di un’alleanza educativa che sia di “accompagnamento, incoraggiamento”.
“Il clima lamentoso e scontento, la predisposizione a preferire la critica alla proposta, una sorta di complesso di inferiorità verso la tecnologia in cui i giovani sono nati sembrano lasciare il messaggio che l’esperienza degli adulti è poco utile, i risultati con- seguiti hanno avuto un prezzo troppo alto nell’impatto ambientale e sociale, i debiti accumulati pesano come una minaccia sul futuro”, evidenzia chiamando a un’alleanza tra famiglie e istituzioni e sottolineando come verso i giovani non tanto il castigo, ma “è essenziale quella gentilezza della conversazione che trasmette la persuasione che la vita è una vocazione, non un enigma incomprensibile, che il futuro è promessa e responsabilità, non una minaccia, che ciascuno, così com’è, è adatto alla vita, è all’altezza delle sfide, è degno di essere amato e capace di amare”.
Nell’agenda pubblica, nell’attenzione responsabile di aziende e istituzioni educative, nella sensibilità diffusa tra le generazioni più giovani, i temi dell’ambiente trovano una sensibilità vivace, persino arrabbiata e risentita verso le generazioni adulte che han- no depredato e rovinato il pianeta”. Così l’arcivescovo Mario Delpini in un passaggio del suo Discorso alla Città. Anche per la rilevanza dei temi dell’ambiente e del lavoro, l’arcivescovo sottolinea l’importanza della gentilezza: “I temi sono spesso affrontati con toni aspri e rivendicativi. La gentilezza fa immaginare percorsi più concordi, rispettosi, costruttivi.
La gentilezza è il motore delle comunità Laudato si’ che in modo spontaneo ed efficace nascono nella nostra diocesi”, afferma Delpini che aggiunge: “ I discorsi solenni, la proclamazione dei princìpi e delle intenzioni, la durezza delle denunce, la formulazione di normative rigorose sono forse interventi inevitabili. Rischiano, però, di essere inefficaci o di inserire ulteriori complicazioni nella burocrazia. L’esito è talora che i piccoli sono perseguiti per piccole trasgressioni, mentre i potenti proseguono imperturbati in scelte spietate nei confronti dei lavoratori e in prassi rovinose per l’ambiente”. “È necessario – per Delpini - promuovere nell’opinione pubblica una sensibilità che con l’apprezzamento incoraggi le buone pratiche e con la critica e con scelte di stili coerenti disapprovi i comportamenti che sono di danno al bene comune”.
In definitiva, l’arcivescovo Mario Delpini, indica le qualità di coloro che chiama “gli artigiani del bene comune” che si caratterizzano perché “quello che fanno lo fanno bene e sono convinti che il bene sia già premio a se stesso, anche se, ovviamente, pretendono il giusto compenso per il lavoro che svolgono”. “Gli artigiani del bene comune – dice ancora Delpini - sanno che ci sono cose più importanti di altre: in primo luogo coltivano i rapporti fondamentali, con il marito, la moglie, i figli, i genitori; sono pronti a qualsiasi sacrificio per i figli e non hanno ambizione più grande di quella di dare loro un futuro migliore; lavorano volentieri e mettono nel lavoro attenzione e competenza; hanno rispetto dell’ambiente in cui vivono e contrastano lo spreco, il degrado, lo squallore. Sono onesti: sanno che si può guadagnare di più se si è disonesti, ma disprezzano le ricchezze accumulate rovinando gli altri e la società. Sono intraprendenti e se c’è da dare una mano non si tirano indietro e, se hanno stima di coloro che per il bene comune si caricano di fastidi, loro non sono da meno, per quello che possono”. Quindi, gli artigiani del bene comune sono capaci di resistenza. Resistono nella fatica quotidiana. Resistono nelle prove della salute e del lavoro. Resistono nelle complicazioni della burocrazia della società complessa. Resistono alle tentazioni del denaro facile e delle amicizie losche.
Per Delpini “C’è bisogno di gente che resista. Che resista con la gentilezza di chi sa che cosa sia bene e che cosa sia male e compie il bene perché ha fiducia nell’umanità, ha fiducia nelle istituzioni, ha fiducia in Dio”. “La nostra società non ha bisogno solo di forme più severe di controllo, di interventi più incisivi della politica e delle forze dell’ordine. La nostra società – sottolinea quindi Delpini in uno dei passaggi conclusivi - ha bisogno di abitare i territori dell’umano, allorquando si sbilancia su e con un nuovo umanesimo; la nostra società ha bisogno di presidiare le relazioni interpersonali, a fronte di una deriva delle stesse nelle interminabili connessioni virtuali (relazioni tascabili e liquide); di lasciarsi interpellare dagli ultimi della fila, dai vuoti a perdere, dalle vite da scarto”.
“Non lasciamoci cadere le braccia”. Così esorta l’arcivescovo Mario Delpini in un passaggio del suo Discorso alla Città. “La complessità delle situazioni, l’insistenza della comunicazione pubblica e dei social nel gridare la gravità dei problemi, nel mettere in evidenza fatti di cronaca orribili e sentimenti di rabbia – afferma Delpini - inducono a un senso di scoraggiamento, di rinuncia, di sfiducia nel futuro e nell’umanità”, ma “Non possiamo essere rinunciatari”, “non possiamo limitarci alla denuncia e all’aspettativa che qualcuno faccia qualcosa, e ci infastidisce il lamento, perché siamo coscienti dei talenti ricevuti e fieri di poterli trafficare per continuare a scrivere una storia che meriti di essere raccontata”.
Delpini plaude quindi a chi assume un “atteggiamento costruttivo e intraprendente” perché “merita la gratitudine di tutti. E io mi faccio voce della gente che ringrazia coloro che si fanno avanti per assumersi responsabilità nella nostra vita sociale”. “I milanesi sono già “bauscia” per conto loro – aggiunge Delpini - e non hanno bisogno dei miei complimenti, ma la speranza di questa nostra terra ospitale è che tutta la gente che vive a Milano faccia proprie le virtù dei milanesi e cerchi di evitare i loro difetti, perché questa terra vive per il contributo di tutti”.
Il tema della partecipazione, con in particolare la bassa affluenza alle ultime elezioni amministrative. Ne parla l’arcivescovo Mario Delpini in un passaggio del suo Discorso alla Città pronunciato in Sant’Ambrogio. “Abbiamo anche la responsabilità di promuovere la partecipazione di tutti alla vita delle comunità e dell’intera società civile. Perciò dobbiamo contrastare alcune tendenze in atto e alcuni atteggiamenti – dice Delpini -. La scarsa partecipazione degli elettori nelle elezioni amministrative da poco celebrate in alcuni comuni è un segnale allarmante e l’opera educativa e la sensibilità sociale di molti devono essere un invito, una sollecitazione per tutti”.
“I cittadini – sottolinea Delpini - non sono clienti, e nessuno deve solo essere aiutato o essere tollerato. L’attenzione alle persone fragili non è soltanto beneficienza: anche chi è fragile ha risorse da offrire e doni da condividere. L’accoglienza di persone che vengono da altri Paesi non è solamente accoglienza: ogni cultura, ogni persona, ogni tradizione offre un contributo per la società di domani, la Chiesa di domani, la comunità di domani”. E ancora: “l’attenzione ai giovani non è solo accondiscendenza alle loro aspettative: soprattutto i giovani non devono pretendere che siano create condizioni favorevoli alla realizzazione dei loro sogni. Piuttosto sono chiamati ad avere progetti e a rimboccarsi le maniche per eseguirli, sono chiamati a considerare le sfide e a farsi avanti per affrontarle”.
"Lo scandalo della violenza, in particolare della violenza di cui le donne sono vittime, impone una reazione ferma e una conversione profonda di linguaggi e di comportamenti": così l’arcivescovo Mario Delpini in un passaggio del suo Discorso alla Città pronunciato in Sant’Ambrogio.