Trevisan (Ealixir): diritto all'oblio non interferisce con libertà di stampa
Con la riforma Cartabia si torna a parlare di diritto all’oblio applicato al web: l'intervista all'imprenditore Enea Trevisan che sul tema ha scritto un libro
Trevisan (Ealixir): il diritto all'oblio non interferisce con la libertà di stampa
Da qualche giorno, grazie alla riforma Cartabia, si è cominciato a parlare anche in Italia di un tema di cui in Europa si discute da anni, ovvero di “diritto all’oblio applicato al web”, la possibilità da parte degli individui di rimuovere i loro nomi da articoli reperibili sul web inesatti o non più attuali.
La politica italiana è abituata a essere in ritardo sui grandi fenomeni sociali e culturali della modernità, e anche stavolta non fa eccezione. La storica sentenza della Corte di Giustizia Europea che sancisce il diritto di ogni cittadino a usufruire del diritto all’oblio è datata 2014; e basta farsi un giro sul web per trovare diverse aziende che promettono di offrire assistenza a chiunque voglia servirsi di questo strumento per ristabilire la propria reputazione online. Il paradosso è che, mentre sui grandi giornali il dibattito comincia adesso, l’azienda leader a livello mondiale – Ealixir Inc. - è un’azienda italiana, dal luglio 2020 quotata all’indice Nasdaq di New York, fondata nel 2018 a Milano dall’imprenditore Enea Trevisan, che proprio al diritto all’oblio ha dedicato un libro uscito l’anno scorso per Mondadori (Volevo essere nessuno). Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio.
In che modo un link indesiderato presente sul web compromette la vita di una persona?
Supponiamo che lei debba decidere a che professionista affidarsi per un servizio. Ha davanti a sé due nominativi. La prima cosa che fa, molto probabilmente, è farsi un giro su Google per controllare le credenziali dei due. Ebbene, supponiamo che inserendo il nome di uno dei due venga fuori un link legato a una vicenda spiacevole avvenuta in un passato remoto. Il suo sguardo non sarebbe più neutrale, questo fatto remoto finirebbe per influenzare il suo giudizio nel presente. Potrebbero essere passati anni, la persona in questione potrebbe aver pagato il suo debito con la giustizia oppure essere risultata completamente estranea ai fatti: eppure, nella sua mente, si sarebbe annidato il tarlo del dubbio, lei avrebbe perso quella neutralità di partenza, con il rischio di scartare a prescindere la persona con il link negativo.
La cosa peggiore è che questo stesso ragionamento finisce per ripetersi sempre, ogni qual volta la persona con un link negativo si trova a cercare lavoro, col risultato di perdere un’opportunità dopo l’altra fino a perdere tutto. Una maledizione da cui è impossibile fuggire.
Supponiamo che la persona in questione sia colpevole di un crimine. In questo caso, il diritto all’oblio non va contro gli interessi della comunità?
La comunità ha tutto il diritto di avere accesso alle fonti di informazioni, e leggere i nomi e le vicende di chi ha infranto la legge. Ma quando passa un certo periodo di tempo, quando insomma la notizia cessa di essere attuale e rilevante per l’opinione pubblica, l’individuo protagonista di una vicenda spiacevole ha il diritto di impedire che chiunque solo inserendo il suo nome su Google, ne venga immediatamente a conoscenza. Questo in linea di principio: poi, ovviamente, ci sono delle eccezioni.
Quali?
Per i politici, ovviamente, il diritto all’oblio non può essere applicato. La gente ha il diritto di conoscere il passato di una persona che si candida a gestire la cosa pubblica. Allo stesso modo, per alcuni tipi di reato particolarmente dannosi per la comunità, come il traffico di droga o l’associazione mafiosa, il diritto all’oblio non esiste o presenta forti limitazioni. L’interesse della comunità viene sempre tutelato e le polemiche che si sentono in questi giorni mi sembrano assolutamente strumentali.
Però, una volta dimostrata l’innocenza di una persona, il problema dovrebbe risolversi da solo. O no?
Non esattamente. Intanto, in alcuni ordinamenti giudiziari, per arrivare a una sentenza ci vogliono anni. Un lasso di tempo enorme, durante il quale la persona che ha un link negativo viene letteralmente emarginata dalla società, spesso impossibilitato a lavorare, finendo per ritrovarsi incapace di provvedere economicamente a sé e alla propria famiglia. Ma c’è di più: i media, da sempre, danno grande risalto alle notizie riguardanti gli arresti, specie se di personaggi in vista, mentre relegano in poche righe le notizie delle assoluzioni. Questo fa sì che gli articoli iniziali, in cui si dà conto delle accuse, vengano indicizzati da Google ben prima di quelli successivi, in cui si racconta l’eventuale assoluzione. È assai raro che qualcuno, a caccia di informazioni su un certo individuo, legga tutti i links che lo riguardano: nel 99% ci si limita ai primi dieci o addirittura ai primi tre. Ovvero quelli dove, quasi sempre, sono contenute le informazioni negative.
Come si bilancia la tutela del diritto all’oblio con quella della libertà di stampa?
Il diritto all’oblio non limita in alcun modo la libertà di stampa. I media sono liberi di informare e di scrivere ogni fatto relativo a qualunque individuo del mondo. Tuttavia, passata l’attualità di una notizia, ovvero quando la notizia stessa non costituisce più motivo di interesse pubblico, il diritto all’oblio sancisce il diritto dell’individuo oggetto della notizia a tutelare la propria privacy, impedendo che quella stessa notizia lo perseguiti a vita.
Chiedo un altro sforzo di immaginazione. Provate a immaginare quando il web non esisteva: una notizia usciva sui giornali o in televisione, e se ne parlava fino a che il pubblico era interessato ad essa. Poi, inesorabilmente, la notizia finiva nel dimenticatoio, e rimaneva accessibile solo a chi avesse voluto fare una ricerca specifica, consultando un archivio. Il web ha cambiato tutto: una notizia rimane disponibile per sempre e per chiunque. L’intera storia di noi stessi è distante solo qualche frazione di secondo, il tempo di una ricerca su Google. La reputazione di un individuo, insomma, risulta minata per sempre. Il diritto all’oblio tutela il diritto delle persone innocenti o che hanno scontato la loro pena a rifarsi una vita.
Come si stabilisce il lasso di tempo passato il quale una notizia non è più d’attualità?
Non esiste un tempo predeterminato. Dipende dal tipo di notizia, dal mestiere e dalla posizione della persona coinvolta.
Chi sono i clienti che si rivolgono a voi?
Sono persone assolutamente normali, che si sono trovate per alcune circostanze della vita a finire sui giornali e che, a distanza di anni, non riescono a ricostruirsi una vita o a condurre un’esistenza, appunto, “normale”, proprio per via di quei links negativi. Persone che non possono lavorare, cui le banche si rifiutano di fare credito, spesso emarginate perfino nei contesti familiari. Si rivolgono a noi per cercare di recuperare diritti fondamentali che non dovrebbero mai essere negati a nessuno.
In quali parti del mondo si applica il diritto all’oblio?
Ovunque, e infatti noi siamo da anni attivi in 28 Paesi nel mondo. La legislazione più avanzata è certamente quella europea, ma negli ultimi anni anche Stati Uniti e buona parte del Sud America stanno facendo propri quei principi affermati nella sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2014. Voglio comunque essere chiaro su un punto: il diritto all’oblio non esiste perché lo dice la Riforma Cartabia. Il diritto all’oblio è stato sancito dall’Unione Europea parecchio tempo fa, e viene già utilizzato da anni, come uno strumento assolutamente normale. Mi è venuto da sorridere, nei giorni scorsi, quando ho letto alcuni articoli apparsi su alcuni giornali italiani, con i giornalisti che presentavano il diritto all’oblio come qualcosa di nuovo, come se non ne avessero mai sentito parlare. Sono gli stessi giornali da cui, quotidianamente, grazie al diritto all’oblio facciamo rimuovere nominativi e articoli obsoleti per tutelare i nostri clienti. Consiglio loro di informarsi presso gli uffici dedicati interni alle loro testate.