Varese, cappellano si difende dall'accusa di convivere con una vedova

Un cappellano denuncia la donna che lo ha accusato di convivere con una vedova e la figlia di lei, facendogli perdere il proprio ruolo

Milano
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Varese, cappellano si difende dall'accusa di convivere con una vedova

Vicenda boccaccesca da una parrocchia della provincia di Varese. La storia è stata raccontata originariamente dalla Prealpina e vede protagonista un parroco, che ha portato in tribunale una donna, di professione avvocato, che ha inviato delle lettere ai vertici della Chiesa per segnalare quello che aveva considerato un atteggiamento immorale, ovvero la relazione sentimentale che a suo dire il religioso avrebbe intrattenuto con la vicina di casa.

Davanti al giudice di pace Fabio Del Re, il parroco ha raccontato la propria versione: «La mia vocazione è la mia vita. Ed è stata messa in discussione per qualcosa che non ho fatto. Sono stato accusato di convivere more uxorio con una vedova e persino di essere il vero padre di sua figlia. Tutto ciò è diffamante e mi ha ferito interiormente».

La versione del parroco accusato: "Ho offerto supporto morale e spirituale dopo il suicidio del marito"

«Nel 2018, dopo avere ricevuto l’email, mi chiamò il vescovo Franco Agnesi e mi disse di evitare di incontrare quella famiglia. Famiglia di cui ero amico dal 2010, quando la loro bambina frequentava l’oratorio per il catechismo, e a cui mi sono sentito in dovere di essere di supporto morale e spirituale dopo che il padre morì suicida».

Una scelta che ha avuto conseguenze: «Ero cappellano militare e fui convocato a Roma. Monsignor Santo Marcianò mi chiese di congedarmi immediatamente dall’Ordinariato militare. Inizialmente feci resistenza perché non ne capivo il motivo, ma alla fine accettai per il bene dell’ente. Una scelta che è per me è stata fonte di profonda frustrazione». Dopo qualche mese senza parrocchia, è stato poi trasferito in Brianza.

La figlia ha fatto il test del dna per smentire le voci sulla paternità

Amico del marito della signora, quando questi venne a mancare, il parroco proseguì la frequentazione della famiglia  «soprattutto per stare vicino alla quattordicenne che la sera aveva delle crisi, faceva fatica a metabolizzare la morte del papà. E se si faceva tardi, passavo la notte lì, sul divano letto in soggiorno». Un aiuto che non è stato solo morale ma anche economico. Anche la donna partecipa alla causa contro la presunta "delatrice": «Si è riaperta una ferita, un figlia si è sottoposta anche al test del Dna per smentire le voci sulla paternità: «Mi hanno messo tutto in dubbio. Non volevo più stare a Varese, non mi fidavo più di nessuno».

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