1941/2021: quando l'Italia raggiunse una specie di massima espansione territoriale (e perfino un improbabile encomio dell'Economist)

Come la farsa di una illusione collettiva nevrotica scoppia in una bolla di sapone acido, col conseguente tragico risveglio

L'opinione di Lapo Mazza Fontana
Politica
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Italia, gli 80 anni dal meraviglioso 1941

Toh, ce ne siamo dimenticati, un po' presi dalla psicosi pandemente che occupa ogni singolo ganglio del cervello defedato dei nuovi italioti in orbace draghistano: quest'anno, OHIBÒ, cadono ottant'anni di anniversario del meraviglioso 1941. Sì, proprio il 1941: un annus mirabilis che non è solo il titolo di un geniale e un po' dimenticato successo cinematografico di Steven Spielberg con John Belushi, Dan Aykroyd e Toshiro Mifune (1941- Allarme a Hollywood), ma soprattutto l'anno (e anche questo non se lo ricordano manco i meno defedati) della grande illusione mussoliniana, seguita ovviamente dalla grande precipitazione degli eventi che portarono al trauma della disfatta italiana.

Ed è andata proprio così. Mussolini nel suo delirio paranoide di inseguimento di una impossibile egemonia europea, ancora ebbro di un'altra illusione, quella di essere il maestro dell'ormai imperante Adolf Hitler, si inventa una ideona. Sapendo di non poter competere con i tedeschi da nessun punto di vista, politico, militare, sociale, economico e nemmeno nel fanatismo ideologico di un popolo troppo diverso dagli ipermilitaristi crucchi, trascinato dal suo stesso allievo in una guerra che avrebbe preferito evitare in un residuo minimo di senso della realtà, Mussolini decide (dopo i famosi mesi di "non belligeranza") di trascinare la Italietta nella seconda guerra mondiale, ma tentando una cosiddetta "guerra parallela", in autonomia, anzi perfino in folle quanto surrealista competizione con i tedeschi. Quindi, in estrema sintesi, mentre i tedeschi schiacciano Polonia e Francia e danno battaglia agli inglesi sulle coste della Manica tra Panzer e Spitfire, gli italiani sviluppano offensive autonome nel sud della Francia, in Africa e in Grecia, con mini-carri armati di tolla, biplani obsoleti e con un livello di stupidità che a breve stupirà il mondo.

Sempre in epitome somma: prese fin da subito sonore batoste dalle truppe da montagna francesi sul fronte alpino e provenzale e conquistata al volo (ma per sostanziale ritiro degli inglesi) la Somalia britannica, la offensiva italiana in Nordafrica si risolve in un disastro di dimensioni epiche. Il maresciallo Rodolfo Graziani, forte di un esercito in Libia numeroso quanto arretrato, mette piede in Egitto per poi essere letteralmente sbaragliato dalla ben più tecnicamente munita controffensiva del generale inglese Archibald Wavell, che arriva a minacciare la caduta di Tripoli, costringendo dapprima un pur recalcitrante Adolf Hitler a progettare uno SPERRVERBAND, ovvero una unità speciale di sbarramento, e poi a creare ed inviare nientemeno che un piccolo esercito su misura, ovvero il DAK (Deutsches Afrikakorps) di Erwin Rommel, per ribaltare le sorti ormai già perse del settore africano.

Figura peggiore fa poi Mussolini di fronte al mondo, e surtout di fronte all'apprendista stregone ex caporale austriaco (così più bravo del maestrino romagnolo), aggredendo a tradimento la Grecia, paese già retto da una dittatura pseudofascista (per giunta filoitaliana) e riuscendo nel capolavoro di farsi respingere dai greci con pesanti perdite e senza nessuna possibilità di ribaltamento di risultato, fino ad un nuovo rapidissimo e risolutivo intervento anche in Grecia dei tedeschi, al massimo della loro spinta militare e del loro smalto bellicista. Con la Grecia si apre a quel punto la questione yugoslava, per poter avere tutti i Balcani sotto controllo, e anche qui la Wehrmacht interviene prontamente laddove i Regi Esercito, Aeronautica e Marina non ne sono capaci, liquidando e smembrando il regno yugoslavo, con la instaurazione di Stati-fantoccio come quello croato, retto da un sinistro squadrista, il bosniaco Ante Pavelic.

A quel punto l'Italia mussoliniana, ormai totalmente squalificata agli occhi dei vertici militari tedeschi prima ancora che inglesi, si trova suo malgrado ad avere in regalo quello che non avrebbe mai sperato nemmeno conquistandoselo: non solo il controllo della Grecia, ma anche di gran parte della Yugoslavia, addirittura con la annessione diretta di parte della Slovenia e della Dalmazia (già italiana storicamente, ma questa è una altra questione), raggiungendo così (sulla carta) la sua massima estensione territoriale. O meglio quasi raggiungendola, per una singolare coincidenza temporale: la data del 6 aprile 1941, data in cui le truppe italiane e tedesche invadono i Balcani e data in cui le truppe italiane abbandonano Addis Abeba agli inglesi, perdendo de facto l'Etiopia.

Però, quel 6 di aprile in Italia la Stampa e i giornaloni, come li chiama oggi Marco Travaglio (ovvero i giornali cosiddetti "seri": Il Corriere della Sera, La Stampa, La Nazione, Il Messaggero, Il Mattino, solo per citare i maggiori), nonché la Radio di Stato EIAR e l'ISTITUTO LUCE coi suoi cinegiornali, guarda caso non descrivono le sconfitte, ma solo le vittorie (altrui), mentre le bandiere italiane sventolano apparentemente su quasi tutto il Mediterraneo (nei siti non strategici; quelli sono tenuti dai tedeschi). Anche le truppe italo-tedesche in Africa, sostituito Graziani con un altrettanto inutile generale dal nome tonitruante di Italo Gariboldi (subito di fatto esautorato dal galvanizzatissimo Rommel) si apprestano alla nuova offensiva, riconquistando prima la Cirenaica per poi spingersi fino a Tobruk, nuovamente quasi al confine italo-egiziano.

Ed ecco che gli entusiasmi della opinione pubblica italica si rintuzzano, sono incredibilmente ancora dalla parte della bolla nevrotica che descrive come flamboianti successi le vittorie di Pirro o le sconfitte generalizzate, e gli italioti con vent'anni di lavaggio del cervello fascista sono ancora in una consistente maggioranza plaudenti un Duce già meno a petto gonfio per le umiliazioni subite, ma pur sempre ancora baldanzoso nel pettoruto aspetto. Nonostante le voci che serpeggiano ovunque, sbandierato dagli organi di Stampa sotto una propaganda serrata, il consenso del popolino (ma soprattutto delle classi dirigenti idiotizzate come solo in Italia e in Germania si riesce ad avere, storicamente) pare voler dire, e a gran voce: MA non li vedi i successi ovunque(?!?) mentre lentamente Esercito, Aeronautica e Marina si stanno sfarinando insieme con la società italiana, per cominciare quella corsa suicida all'approdo di un otto settembre 1943 ancora molto lontano, ma già visibile ai meno deficienti. Eppure le forze dell'Asse Roma-Berlino-Tokyo nel 1941 sono vincenti su tutti i fronti mondiali, e gli Alleati collezionano significative vittorie ma anche pesanti sconfitte ovunque.

Ovunque o quasi, perché la realtà dietro le quinte è ben altra, e qualcosa fin da principio non ha funzionato nella seconda grande guerra scatenata dagli Unni. Non hanno calcolato che non tutti sono disposti a piegarsi al totalitarismo italo-tedesco, soprattutto non tutti nel mondo anglosassone, nonostante persino in Inghilterra e negli Stati Uniti un partito collaborazionista e perfino filonazifascista fosse molto vicino alle leve del potere a Londra e a Washington. E nonostante ad un certo punto l'Impero britannico sarà solo e sull'orlo del tracollo, in quella che sarà ricordata come "the darkest hour". Non è solo una questione di potenza militare e geostrategica, ma segnatamente di mentalità.

E questo fin dagli anni trenta, perché la progressione temporale è importante: volendo far simbolicamente cominciare il temporizzatore dell'ordigno bellico a partire dal 1938, anno in cui diventa irrimediabilmente chiara la vera facies dichiaratamente stragista del nazifascimo, non solo gli italiani, ma tutta l'Europa subirà ben otto anni di tragedia, a partire dalla escalation della tensione e poi di guerra conclamata e devastante.

Cosa insegna dunque codesta piccola parabola di questo effimero successo di cartapesta di una Italiuccia facilona, fascistona e triste, tronfia e truce quanto il suo idropico e priapistico dittatore nerovestito? Insegna, almeno ai meno disabilitati sinaptici, che ci vogliono anche solo pochi anni di BALLE della più sordida propagandina di regime, (anche un po' in stile potere magico della ARCA PERDUTA, tanto per citare ancora Spielberg), per preparare il rincoglionimento di una popolazione e poi per portarla al parossismo mentecatto autolesionista col suo stesso plauso, fino alle macerie di una intera società, di un intero mondo.

E in fondo non c'è bisogno neanche di tornare al 1941. Ci ricordiamo ancora di Silvio Berlusconi e del "Nuovo miracolo italiano" e del suo rivale-per-finta-e-sodale-per-davvero Romano Prodi col suo "con l'Euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più"?

Draghi, Italia e l'elogio dell'Economist

Era solo pochi anni fa, e ce ne siamo già scordati. Magari non proprio tutti ce lo siamo scordati eh. Così come non ci scorderemo le parole dell'Economist, la rivista finanziaria inglese, che ora descrive l'Italietta come "paese dell'anno" e Mario Draghi come"un premier competente e rispettato a livello internazionale con una maggioranza che ha sepolto le divergenze a sostegno di un programma di profonde riforme". Eh, se lo dicono gli inglesi, che sono quelli che si oppongono ai totalitarismi, sarà vero. Peccato che neanche gli inglesi, e nemmeno nelle figure di loro autentici eroi nazionali, ci abbiano mai capito una beatissima fava dell'Italia, paese certamente al sommo grado di incomprensibilità ab ovo per gli italiani, figuriamoci per i perfidi albioni.

In cauda venenum facciamo così; oltre all'Economist ricordiamoci anche le alate parole di due personaggini di pregio, non certo accusabili di essere dei cretini, ma neppure di essere degli IPSE DIXIT (come sarà invece pure l'Economist, per carità, non ci permettiamo di dubitarne).  Nel 1927 Mussolini ricevette Winston Churchill a Palazzo Chigi; un Churchill che allora era ministro delle Finanze del governo britannico. In quella occasione Churchill dichiarò alla Stampa:

"... è perfettamente assurdo dichiarare che il governo italiano non si posi su una base popolare o che non sia sorretto dal consenso attivo e pratico delle grandi masse...". E su Benito aggiunse: "... è facile accorgersi che l’unico suo pensiero è il benessere durevole del popolo italiano..."In quegli stessi giorni George Bernard Shaw, premio Nobel per la letteratura nel 1925, forse con maggior acume, scrisse sul Daily Mail: "...il popolo era tanto stanco dell’indisciplina e della vacuità parlamentare, che sentiva il bisogno di una tirannia efficace. L’onorevole Mussolini è il suo adorato tiranno".

È proprio vero che le bugie mica hanno le gambe corte; le hanno ben lunghe invece. E forse, tra molti anni, ancora una volta quelle gambe lunghe ci porteranno alla ulteriore disfatta, e forse anche alla conseguente sconfitta degli adorati tiranni. Anche stavolta non saremo soli, nella probabile caduta, per magrissima consolazione.Per tacer dei defedati, of course.