97 parlamentari tra politica-imprese. Assenza di regole fa dilagare le lobby
Nomi e partiti di deputati e senatori
Il nostro è l’unico Paese nell’Unione Europea, insieme all’Ungheria e alla Slovenia, a non avere una legislazione chiara in materia di conflitti di interesse, corruzione e rapporti di onorevoli e burocrati
Avere le informazioni prima degli altri è ciò che conta maggiormente. Quello che nel mondo delle imprese si cerca, e spesso a tutti i costi, è sapere prima quando uscirà un bando, i criteri, come verrà assegnato il punteggio. Lo dimostrano le indagini degli ultimi anni che hanno alzato il velo su cricche composte, quasi sempre, da politici (o parenti), imprenditori e funzionari pubblici. Indagini che hanno sempre un elemento in comune: le porte girevoli tra politica e imprese e le porte “leggere” nei ministeri che gestiscono gare miliardarie.
Il nostro è l’unico Paese nell’Unione Europea, insieme all’Ungheria e alla Slovenia, a non avere una legislazione chiara in materia di conflitti di interesse, corruzione e rapporti di onorevoli e burocrati (familiari compresi) con il mondo dei portatori di interesse. A parte la leggina del 2004, che riguarda i conflitti di interesse di ministri e sottosegretari (a dir poco blanda), non c’è nulla per i parlamentari. A denunciarlo, secondo quanto scrive il sito internet www.repubblica.it, non a caso è l’ultimo report del Geco, l’organo del Consiglio d’Europa che si occupa di lotta alla corruzione, che chiede all’Italia «l’adozione di norme chiare ed effettivamente applicabili in materia di conflitto di interesse dei parlamentari», familiari compresi.
Secondo l’associazione Transparency oggi sono 97 i deputati e i senatori portatori di interessi privati, cioè che hanno partecipazioni in aziende o ruoli in consigli di amministrazione. Il numero più elevato siede nelle fila di Fratelli d’Italia: dalla ministra Daniela Santanché con le sue società legate a Visibilia, ai sottosegretari Marcello Gemmato e Maurizio Leo, che hanno partecipazioni in società che si occupano di settori che rientrano nelle loro deleghe ministeriali, passando per i deputati Marco Osnato e Riccardo Zucconi, che hanno aziende nel settore turistico, solo per citarne alcuni. Segue poi, per numero di deputati con “interessi particolari”, Forza Italia: qui come non citare il presidente della Lazio Claudio Lotito o il capogruppo in Senato Maurizio Gasparri, presidente di una società di cybersicurezza. Terza la Lega di Salvini, seguita dal Partito democratico, Movimento 5 stelle e Italia Viva e Azione.
Poi ci sono i casi delle porte girevoli di politici che hanno lavorato per lobby e grandi aziende e che fanno la spola tra questi ruoli: il ministro della Difesa Guido Crosetto ha guidato prima dell’incarico l’Aiad, la federazione della aziende Italiane che si occupano di aerospazio, difesa e sicurezza; l’ex deputata di Forza Italia Annagrazia Calabria lavora oggi per le relazioni istituzionali di Webuild, il colosso del gruppo di Pietro Salini che deve realizzare il Ponte sullo Stretto, anche qui solo per fare degli esempi. E tanti ex politici di alto rango lavorano per società di consulenza o per grandi gruppi imprenditoriali: da Angelino Alfano all’ex ministro Roberto Cingolani. Tutto lecito e in chiaro.
Ma nel nostro Paese esiste anche un mondo che sta in mezzo: quello dei politici che restano agganciati ai ministeri attraverso una consulenzina. Repubblica ha contato 35 ex senatori e deputati oggi inquadrati in staff di governo con il ruolo di consulente, da Maria Spena ad Armando Siri a Marco Busetti, solo per citarne alcuni.
Ma non c’è solo la politica a non avere regole chiare con porte a dir poco girevoli. Attorno a ministeri e Regioni, dove si disegnano gare miliardarie, ruotano anche i quattro mila dipendenti di grandi aziende di consulenza, a partire dalle cosiddette grandi “sorelle” del settore (Deloitte, Pwc, Ernst and young, Kpmg) che lavorano per l’assistenza tecnica: si occupano in soldoni di predisporre bandi e linee guida per accelerare la spesa comunitaria, ma le loro aziende lavorano spesso anche per le imprese che a quei bandi dovranno poi partecipare. E anche qui le informazioni girano in maniera vorticosa.
Non sorprende insomma che nei corridoi dei ministeri ci sia un grande viavai, quasi sempre non registrato. Solo il ministero dello Sviluppo economico tiene una agenda e un registro dei lobbysti o portatori di interesse che vi accedono. Poi nessun altro ministero tiene registri e agende.
E in Parlamento? In assenza di leggi chiare esiste alla Camera un registro dei portatori di interesse: imprese, associazioni di categoria e società di lobbying devono indicare i nomi dei deputati contatti. Negli ultimi report disponibili molte grandi aziende e società importanti di lobbying scrivono di non avere avuto alcun contatto con i deputati. Tanto a che serve se possono vederli comunque fuori dal Parlamento e avere anche libero accesso nei ministeri?