Antonio Scurati, autore di “M. Il figlio del secolo” attacca la Meloni

Nell’intervista di Sara Scarafia su Rep. il luminare del fascio ha sostenuto che “l’abiura del fascismo in tre lingue” non basta a certificare la “conversione”

Antonio Scurati
Politica
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Scurati critica la Meloni ma non prende le distanze da Mussolini

Il casus belli è stato una intervista su Repubblica di Antonio Scurati, l’autore di una trilogia semi -completa su Benito Mussolini. Vinse il premio Strega del 2019 con “M. il figlio del secolo” e da allora è diventato un guru del fascismo, anche se il libro, come poi si scoprì in seguito, conteneva errori storici abbastanza grossolani. L’autore se la cavò dicendo che si trattava di un romanzo.

Nell’intervista di Sara Scarafia il luminare del fascio ha sostenuto che “l’abiura del fascismo in tre lingue” non basta a certificare la “conversione” di Giorgia Meloni perché lo scorso 29 aprile la suddetta ha reso omaggio a Sergio Ramelli brutalmente ucciso a Milano nel 1975 durante gli Anni di Piombo. A parte che tirare dentro questo assassinio per la propaganda elettorale è operazione sudicia resta il fatto che Scurati è diventato famoso proprio per i libri su quel Benito Mussolini da cui vorrebbe che tutti prendessero le distanze, a cominciare da Giorgia Meloni.

E lui invece le distanze non le ha prese? Sembra proprio di no perché il furbacchione ha avuto un successo mondiale con l’elogio di M. Si tratta di quel noto tristo filone di chi ha successo parlando bene del (supposto) nemico. Perché la prosa estasiata di Scurati, quando descrive l’”Uomo nuovo”, il Duce del fascismo Benito Mussolini, è assai sospetta. Il libro che ha vinto lo Strega sembra scritto dal ras di Cremona, Roberto Farinacci, tanto è la malcelata ammirazione che ne traspare. Purtroppo è pieno di Scurati che sfruttano l’enorme pensiero di Mussolini per diventare famosi e fare soldi e per poi prenderne le distanze, quando gli conviene.

Come al solito la nuvoletta di veleno viene ospitata da Repubblica, voluta da Maurizio Molinari, detto “palpebra abbassata” che non è un nome di un capo indiano ma il soprannome del demagogo e supponente direttore. Repubblica continua la sua tradizione di giornale divisivo, capace di far risorgere antichi odi di un periodo che per l’Italia è stato drammatico. Una volta era fatto di carta più resistente. Ora non serve neppure più a contenere l’olio del pesce.