Autonomia, Schlein sconfitta per il referendum bocciato? No, è contenta. Ecco perché
Il dietro le quinte nel Pd dopo la decisione della Consulta
Nel Pd sono convinti che per questa legislatura non se ne farà nulla e sono anche certi che tutto non dispiaccia affatto alla premier Giorgia Meloni, poco convinta dell'autonomia
Elly Schlein sconfitta per l'inammissibilità decisa dalla Corte Costituzionale del referendum abrogativo sull'autonomia regionale differenziata? Falso, è contenta e anzi ieri ha tirato un bel sospiro di sollievo. E' questa la lettura controcorrente rispetto al mainstream politico odierno che danno fonti qualificate interne al Partito Democratico e vicine alla segretaria.
Il motivo è molto semplice: la Consulta ha tolto le castagne dal fuoco alla leader Dem che in questo modo non deve affrontare una campagna elettorale che quasi sicuramente, a detta di tutti i sondaggisti e stando anche ai sentiment al Nazareno, al 99% non avrebbe raggiunto il quorum per essere valido della metà più uno dei votanti. Quella sì che sarebbe stata una sonora sconfitta.
Ora restano gli altri cinque referendum, quello sulla cittadinanza per gli stranieri di PiùEuropa e quelli sul lavoro - Jobs Act in testa - della Cgil che, quasi certamente, non raggiungeranno il quorum, a maggior ragione ora che mancheranno anche i potenziali elettori del Sud che sarebbero (in teoria) andati al voto in massa contro l'autonomia.
Il Pd sui referendum del lavoro ha posizioni variegate, la sinistra interna è a favore ma i moderati, liberali, cattolici e prodiani non vogliono appiattirsi sulla Cgil e sulle posizioni massimaliste di Maurizio Landini. Mentre il referendum sulla cittadinanza non verrà sostenuto da Forza Italia che invece andrà avanti con la sua proposta di legge sullo Ius Italie ovvero la concessione della cittadinanza dopo dieci anni di ciclo scolastico.
Ma tornando all'autonomia, ragionano nel Pd, ora il Parlamento dovrà riscrivere la Legge Calderoli, dopo i rilievi della Corte, e nonostante le accelerazioni leghiste i tempi non saranno certo celeri. Almeno un anno, spiegano fonti parlamentari considerando quanto è ingolfato il Parlamento di provvedimenti e di decreti legge da convertire.
Non solo. Anche quando la legge Calderoli verrà rivista, essendo nuova, ci sarà un'altra richiesta di referendum abrogativo che dovrà ricominciare tutto l'iter dall'inizio, e quindi le firme, poi la Cassazione e infine la Corte Costituzionale.
Così nel Pd sono convinti che per questa legislatura non se ne farà nulla e sono anche certi che tutto non dispiaccia affatto alla premier Giorgia Meloni, poco convinta dell'autonomia, ma che ha accettato la riforma in quanto parte del programma elettorale delle elezioni politiche del 2022 e legata a stretto giro al premierato e alla riforma costituzionale della giustizia.
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