Banche, FdI a Lagarde: "Governo autonomo, eletto democraticamente. Lei no"

Il capogruppo al Senato di FdI, Lucio Malan, intervistato da Affaritaliani.it, commenta la lettera della Bce al governo sugli extraprofitti delle banche

Di Alberto Maggi
Politica

"Il governo italiano, pur non intendendo in nessun modo mettere in pericolo la solidità delle banche, si preoccupa soprattutto dei cittadini, dei lavoratori e delle imprese"

 

Si accende lo scontro tra il governo italiano e la Bce. “La Banca centrale europea ha preso decisioni molto discutibili - in particolare il reiterato aumento dei tassi di interesse che rischia di alimentare anziché contrastare l’inflazione - in modo del tutto indipendente dai governi nazionali, forte della sua autonomia. La presidente Lagarde dovrebbe ricordare che i governi nazionali, che a differenza di lei sono espressione del voto democratico, godono a loro volta di autonomia". Con queste parole il capogruppo al Senato di Fratelli d'Italia, Lucio Malan, intervistato da Affaritaliani.it, commenta la lettera di richiamo in arrivo dalla Bce al governo italiano per la tassa sugli extraprofitti delle banche.

"Anche per questo il governo italiano, pur non intendendo in nessun modo mettere in pericolo la solidità delle banche, si preoccupa soprattutto dei cittadini, dei lavoratori e delle imprese", conclude il presidente dei senatori di Fratelli d'Italia.
 

Le banche lanciano la controffensiva: “Violate Costituzione e norme Ue”

L’esercito del mondo delle banche è in manovra. Si muove silenzioso e inesorabile, pur col passo rallentato tipico della settimana a cavallo di Ferragosto. L’obiettivo è cambiare la tassa sugli extraprofitti degli istituti di credito, ossia sedersi a un tavolo e trovare un’intesa. Quando? Il prima possibile. Ma, si legge su La Stampa, siccome il senso della locuzione latina «si vis pacem, para bellum» è rimasto inalterato nel corso dei secoli, le banche stanno lavorando in parallelo a una serie di argomenti e di critiche da usare come deterrente in vista della probabile interlocuzione con il governo. Al lavoro ci sono alcuni tra i più noti professionisti legali del settore, che peraltro confidano come non sia stato troppo difficile trovare punti deboli nella misura. E che stanno già predisponendo una serie di bozze che circolano tra gli istituti.

La sensazione è che il blitz che ha portato l’esecutivo a inserire la tassa sugli extraprofitti se da un lato ha permesso di tenere all’oscuro del provvedimento parte della stessa maggioranza, dall’altro è però stato strutturato con eccessiva fretta senza tener conto di tanti, forse troppi, fattori. Gli istituti ad esempio ritengono che la norma contrasti con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e commisurazione del tributo alla capacità contributiva. Questo perché l’imposta straordinaria, così come è formulata, è calcolata su una sola componente del bilancio e prescinde dalle altre voci che determinano nel loro complesso la capacità retributiva. In poche parole, la tassa espone al rischio (teorico) che l’ammontare dell’imposta straordinaria sia superiore agli utili della società o per assurdo debba essere corrisposto anche in caso di conti in perdita. Non solo, ma la tassa confliggerebbe con ben tre articoli della Costituzione perché non risponderebbe a un giusto equilibrio tra esigenze pubbliche e esigenze di tutela dell’individuo, oltre a prevedere un’applicazione retroattiva.

Altro aspetto, l'attuale misura presenterebbe profili di contrasto sia con la libertà di stabilimento sia con la libertà di circolazione dei capitali nell’Unione europea, perché finisce per imporre restrizioni nell’accesso al mercato non giustificate da obiettivi di interesse generale, ma esclusivamente da finalità di natura economica. In sostanza, le libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali possono essere limitate da leggi nazionali solo se queste perseguono finalità d’interesse generale di carattere extra economico.

È evidente che si tratta di critiche tecniche, ma c’è chi sottolinea come comunque non si tratti di dettagli né di aspetti secondari del provvedimento, ma viceversa di conflitti o incongruenze che potrebbero far decadere il provvedimento prima ancora che veda la luce. C’è ad esempio un terzo elemento che secondo le banche renderebbe la norma di complessa applicazione ed è il potenziale contrasto con la disciplina Ue sugli aiuti di Stato. Il tema è stato sollevato da più parti nell’ultima settimana e punta sul fatto che dalla tassa siano stati esclusi soggetti differenti dalle banche, come gli intermediari finanziari, che operano nello stesso settore economico. Il tutto tenendo conto che uno dei pilastri della norma Ue in materia di aiuti di Stato prevede che la valutazione debba tener conto degli effetti determinati sul mercato più che degli obiettivi di carattere politico da cui nasce. In questo senso c’è un tema nel tema, visto che dal provvedimento è escluso anche Banco Posta, società che fa capo a Poste Italiane e quindi indirettamente al governo (tra Mef e Cdp), che pure stando ai criteri che hanno ispirato la tassa dovrebbe essere tra i gruppi da mettere dietro la lavagna. Allo stesso modo, a poco servirebbe modificare la norma come indicato ieri dal ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani. «Noi riteniamo sia giusto chiedere alle banche un sostegno, in vista anche del bilancio, allo Stato. Ma questo sostegno deve essere ben realizzato, devono essere escluse le banche di credito cooperativo e le banche popolari, perché gravarle di nuove tasse significa mettere in difficoltà anche i risparmiatori». La logica dietro al pensiero di Tajani è comprensibile, ma è evidente che l’applicazione finirebbe per rendere bizzarra la tassa che con l’esclusione di popolari e Bcc di fatto si tradurrebbe in un provvedimento contro Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps e poche altre banche. Il tutto senza contare che escludendo la maggior parte degli istituti il governo si ritroverebbe con un incasso ulteriormente ridotto. Il Mef lo scorso 8 agosto aveva già introdotto un tetto alla tassa, prevedendo che l’importo non potesse essere superiore allo 0,1% del totale attivo, riducendo quindi l’impatto della misura, stimato in circa 2 miliardi.

In ogni caso, i tentativi di mediazione da parte dell’Abi, l’associazione dei bancari guidata da Antonio Patuelli, terranno conto delle varie anomalie rilevate dagli approfondimenti commissionati dagli istituti, impugnabili in sede tributaria e amministrativa. Il confronto partirà da lì, con l’obiettivo di non trasformarsi in scontro aperto.

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