Barbara Alberti asfalta le neo-femministe: contro la schwa e gli stereotipi

Barbara Alberti e il vero femminismo: distrutta Geppi Cucciari e la “cultura della schwa”

Di Giuseppe Vatinno
Barbara Alberti, Elly Schlein, Geppy Cucciari
Politica

Barbara Alberti rottama il neo-femminismo

Barbara Alberti è figlia di quell’Umbria rigogliosa (è nata ad Umbertide) ed etrusca, fatta di foreste e sorgenti naturali e che plasma coscienze e costruisce sogni duraturi. Si trasferisce a Roma da adolescente e si laurea in Filosofia alla Sapienza. Si appassiona al tema femminile che trova naturale sbocco nella sua produzione letteraria di alto livello, a cominciare da Memorie malvagie del 1976, per poi passare a Vangelo secondo Maria del 1979 che genera le prime polemiche.

La sua opera si tinge di ironia e intelligente umorismo nero sul maschilismo con Il signore è servito del 1983. Il suo talento si esplica anche in sceneggiature memorabili come Il portiere di notte di Liliana Cavani del 1974 e Maladoloscenza un controverso film di Pier Giuseppe Murgia che nello sperimentale 1977 sforna una pellicola ricordata per le prime scandalose scene di nudo integrale che segnarono la storia del cinema. Collabora poi a Monella di Tinto Bass.

La Alberti utilizza il cinema -e specialmente il sesso- per fare sociologia e contribuire al dibattito politico che esplica nel Partito Radicale di Marco Pannella. Negli ultimi anni ha partecipato anche al Grande Fratello VIP, dando prova di una insospettata longevità e vitalità. È  stata sposata con il produttore Amedeo Pagani.
Ma veniamo al presente.

È bello, ogni tanto, ascoltare una vera femminista, una di quelle storiche per intenderci, che non sono contaminate dalle stravaganze della modernità che umiliano un dibattito in realtà assai importante. L’occasione è stata quella dell’entrata di Barbara Alberti nei fatici 80 anni, evento avvenuto ieri e per cui ha concesso una bella intervista a “Un giorno da pecora” su Rai Radio 1 a Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. Diciamo che poi lo strumento mediatico dell’intervista radiofonica è il più efficace perché giunge direttamente all’ascoltatore senza i filtri dell’inquadratura birichina televisiva o la deformazione sempre possibile dello scritto.

L’Alberti è una donna che è stata il simbolo del femminismo combattente degli anni ’70 e ’80 dello scorso secolo ed ha tutti i titoli per poter dare un giudizio critico su come si siano trasformate le lotte per i diritti civili, da grande tema sociale a misera farsa linguistica. Nell’intervista infatti l’Alberti è spietata con le nuove femministe delineando in poche righe quello che pensa.

“Non le piace un’invenzione linguistica come la ‘schwa’?, le chiede provocatoriamente la Cucciari. “È un abominio, una negazione della realtà, un qualcosa di schifoso”, gancio destro e Cucciari al tappeto per ko tecnico. “Lei ha detto che non avrebbe mai voluto essere un uomo”… “Certo. Gli uomini mi fanno pena”. Perché? “Per quella disgrazia naturale: la sessualità della donna è segreta, mentre l’uomo, da quando si accorge di averlo fino alla morte, dipende da una cosa che non è governabile, e a cui ha attribuito lo stesso valore esistenziale della persona. In questo ho una grande fortuna: orgogliosa come sono –se fossi stata un uomo, dopo i primi problemi me lo sarei tagliato”.

Un’analisi intelligente della sessualità maschile, lontana anni luce dalle scempiaggini moderniste. L’Alberti dunque ha finalmente il coraggio di dire la verità: l’attuale femminismo è nudo. Le deprecabili contorsioni linguistiche di gente come la Boldrini e la Schlein vengono definite senza mezzi termini “qualcosa di schifoso”. La “cultura della schwa” è finalmente messa in luce per quello che è, “un abominio”, “la negazione della realtà”, ed una presa per i fondelli, aggiungo io.

Quello della scrittrice è stato un bombardamento ad alzo zero contro lo stupidismo dilagante. E poi una botta alla stessa femminista schwaista Geppi Cucciari che l’intervista e che deve incassare mestamente senza poter replicare. Insomma l’Alberti rivendica la dignità delle lotte del vero femminismo che affronta con serietà un problema sociale che è esistito ed esiste e che non può essere risolto dalle mode esibizioniste e dallo “sgallettamento” di soggetti solo in cerca di notorietà e della luce dei media. Per fortuna che Barbara Alberti c’è.

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