Bertinotti: "Meglio divisi che uniti con l'agenda Draghi. Sarebbe un suicidio"

Elezioni 2022, l'ex Presidente della Camera ad Affaritaliani.it: "Il patto Pd-Calenda è inquietante. La sinistra in Italia non c'è più"

Di Lorenzo Zacchetti
Politica
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Elezioni 2022, intervista di affaritaliani.it a Fausto Bertinotti

 

Campo largo o divisioni a sinistra? Fausto Bertinotti, ex Presidente della Camera ed ex segretario di Rifondazione Comunista, conosce bene il tema delle spaccature nell'area progressista. Fu proprio lui a sancire la caduta del Governo Prodi I, quando nel 1998 gli tolse l'appoggio esterno. Un quarto di secolo dopo, il panorama non è più coeso, anzi. Tra la frammentazione dell'offerta politica progressista (ne abbiamo scritto QUI) e i rapporti molto difficili tra Enrico Letta, Carlo Calenda, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, un'altra divisione sembra dietro l'angolo. Bertinotti, tuttavia, non concorda con i numerosi inviti a costituire un fronte il più ampio possibile, per contrastare il centrodestra. Dividersi, a suo parere, non è per forza di cose un male: “Guardi che il più importante partito di sinistra della nostra storia nacque da una scissione”, ricorda, riferendosi ovviamente al PCI, nato da una costola del PSI. 

Lei non vede la necessità di un “campo largo” o quantomeno di una coalizione solida in vista delle elezioni?

“Dalle divisioni possono anche nascere progetti vincenti, come dimostrano le esperienze di Mélenchon in Francia e Podemos in Spagna. E' una falsa notizia affermare che ogni rottura sia portatrice di disgrazia. Già Antonio Gramsci parlava del valore dello 'spirito di scissione', ma ormai questa politica è così degradata che non sa più nemmeno leggere. La larga unità a quali successi ha portato?”

Quindi, se lei fosse al posto di Fratoianni non entrerebbe nell'alleanza sancita dal patto tra Pd e Azione?

“Questo non posso dirlo, perché non sono al suo posto. Sarà Fratoianni a prendere una decisione. Quello che posso dire, però, è che l'accordo tra il Pd e Calenda sposta in maniera drastica verso destra l'asse della politica del centrosinistra italiano. È un accordo che definirei inquietante, senza nemmeno metterci troppa enfasi”

Parlandone senza enfasi, non approva questo accordo nemmeno su un piano tattico, visto che Letta parla di Calenda come di un “magnete” per i voti in uscita dal centrodestra?

“Il problema è che io ho un'idea della politica completamente diversa da questa, quindi non posso nemmeno giudicare questa logica alleanzista, che a mio avviso è sempre perdente. Lo è perché separa la politica da quel 50% del popolo che ormai non vota più e che è totalmente disinteressato a queste dinamiche. Io, invece, sono molto interessato a quella parte di popolazione delusa. E per nulla a queste manovre di palazzo”

Le faccio un'altra obiezione: senza un fronte ampio di alleanze nel centrosinistra, il centrodestra potrà vincere con ampio margine e quindi cambiare la Costituzione. E' un tema sollevato da più parti, non la convince nemmeno questo?

“E' un modo misero di vedere la politica. La Costituzione non si difende solo con il pentagramma dei partiti, bensì con il conflitto sociale, i referendum, la gente nelle piazze. E' il Paese intero che difende la Costituzione, non solo i partiti”

Mi pare di capire che lei non nutra proprio alcuna nostalgia per la politica...

“Per questa politica, assolutamente no. Per quella di allora, sì. Oggi c'è ancora qualcuno che mi rappresenta? A livello personale magari sì, ma come entità politica direi proprio di no”

Questa sua difesa dello “spirito di scissione” fa tornare in mente la famosa imitazione che faceva di lei Corrado Guzzanti. Dopo tanti anni, si può dire: l'ha fatta più divertire o arrabbiare?

“Era stupenda. Guzzanti mi ha capito perfettamente. Rappresentava le mie idee in modo caricaturale, ma non fuorviante. E' un grandissimo imitatore, ma ripeto che da lì in poi tutti i partiti che hanno fatto strada in Europa sono partiti da una rottura. E i nostri?”

Il centrosinistra in Italia è stato al Governo, pur senza vincere le elezioni...

“E' andato al Governo senza consenso popolare e c'è andato solo per starci, tant'è vero che oggi difende le posizioni del Patto Atlantico e la guerra, invece che occuparsi dell'aumento delle diseguaglianze, certificato peraltro dall'Istat e non da un pericoloso contestatore. Oggi i 10 top manager in Italia guadagnano 650 volte la retribuzione media dei lavoratori. Vogliamo occuparcene? Si vuole andare al Governo, ma per fare cosa?”

Il programma è diventato una questione dirimente: Pd e Azione parlano di “agenda Draghi”, della quale però Sinistra Italiana ed Europa Verde non vogliono sentire parlare. Lei cosa ne pensa?

“Si può davvero andare avanti su questa strada? Oppure vogliamo occuparci della drammatica crisi sociale che esploderà a settembre? Mi trovo vicino a Genova, dove per il prossimo autunno sono attesi licenziamenti all'Ansaldo, con gli operai pronti a scendere in piazza. E parliamo ancora di agenda Draghi? Questa per me è la vera tendenza suicida, mica il dividersi. Almeno per un partito che si dice progressista e non conservatore, ma in Italia ormai siamo costretti a scegliere tra conservatori e reazionari”. 

E la sinistra che fine ha fatto?

“La sinistra politica in Italia non esiste più, ma ci sono tutte le condizioni perché rinasca. Per farlo, deve tirarsi fuori da questo gioco, non deve 'partecipare al bando'”.