Blocco licenziamenti, Misiani (Pd): "Accordo in commissione e decreto ponte”

Intervista di Affari al senatore e responsabile economico del Pd Antonio Misiani: "In alcuni settori che stanno andando benissimo lo stop non ha senso"

di Paola Alagia
 Antonio Misiani
Lapresse
Politica
Condividi su:

Sul blocco dei licenziamenti nessuna sconfessione della mediazione Draghi, ma è possibile “fare un passo in più rispetto all’assetto attuale”. Ne è convinto l’ex viceministro al Mef e attuale responsabile economico del Pd Antonio Misiani. Il senatore dem, intervistato dal nostro giornale, si è detto fiducioso anche sui tempi di attuazione di una eventuale intesa tra le forze politiche, sebbene il via libera ai licenziamenti sia molto vicino: “Credo che se si raggiungerà un accordo in sede parlamentare, poi possa essere recepito dal Governo con un decreto ponte”.

Senatore, il dibattito di queste ore è una sconfessione della mediazione Draghi. Una prova che è saltata?
Nessuna sconfessione. Il decreto Sostegni uno ha definito un percorso con un blocco differenziato fine giugno-fine ottobre. Per noi è uno schema che rimane condivisibile nella sua logica di fondo. Si tratta di capire, però, visto che la ripresa è diversificata - con alcuni settori che stanno andando molto bene e altri che sono ancora in profonda crisi -, se è possibile, come noi immaginiamo, fare un passo in più rispetto a quell’assetto, definendo un percorso più graduale di fuoriuscita dal blocco. Noi abbiamo, a tal proposito, presentato degli emendamenti al decreto Sostegni bis. Sono un contributo alla discussione parlamentare su una questione che per il Pd può essere affrontata meglio rafforzando ulteriormente la strumentazione a disposizione del Governo. E’ chiaro, naturalmente, che bisognerà discutere con le altre forze della maggioranza, le parti sociali e il Governo.

Soffermiamoci proprio sulle modifiche al Sostegni bis che avete presentato. Si tratta di due emendamenti: uno più generalizzato che potrebbe non dispiacere ai sindacati ed uno più settoriale che potrebbe essere gradito alle imprese.
I nostri emendamenti sono una possibile base di discussione, è chiaro che ogni proposta può essere riformulata e il Pd non ha la pretesa di avere la verità in tasca. Ci confronteremo in Parlamento, con le parti sociali e con il Governo. L’importante è che si faccia tutto il possibile per tutelare i lavoratori dei settori più in crisi. Tenendo conto di una cosa, però.

Quale?
Che il blocco dei licenziamenti è uno degli strumenti con cui affrontare la transizione. Non dimentichiamo che il Sostegni bis, infatti, ha messo in campo misure per oltre 4 miliardi di euro per aiutare le imprese che manterranno la forza lavoro e decideranno di assumere, per rafforzare misure come il contratto di espansione e quello di solidarietà e per introdurne di nuove come il contratto di rioccupazione. E anche su quel versante verificheremo se ci sono spazi di ulteriore miglioramento. Dobbiamo discutere del blocco dei licenziamenti, insomma, ma con la consapevolezza che gli strumenti da utilizzare per fronteggiare le crisi occupazionali sono molteplici e che quelli di natura strettamente emergenziale vanno progressivamente superati contestualmente alla fuoriuscita dall’emergenza.

Il segretario Letta aveva aperto anche ad un settore come quello dell’automotive. Non se ne fa nulla?
Sui settori è chiaro che deve essere il ministro dello Sviluppo economico di concerto con il ministro del Lavoro a individuarli, se passerà una impostazione differenziata comparto per comparto. Uno dei possibili criteri di riferimento può essere il ricorso alla cassa integrazione e la sua intensità, e cioè il rapporto tra le ore autorizzate e i dipendenti, settore per settore. E tenendo conto possibilmente anche del tempo di permanenza in cassa integrazione ramo per ramo. Insomma, utilizzando gli indicatori più appropriati è possibile valutare la condizione congiunturale e, dunque, dove è necessario intervenire e dove non serve.

Il problema, casomai, sono i tempi con la scadenza dei termini del blocco il 30 giugno.
Sì, è vero. Ma se le forze politiche raggiungono un accordo in sede di commissione parlamentare poi credo che tale accordo possa essere recepito dal Governo con un decreto ponte.

Come la mettiamo con le critiche rispetto a un’impostazione da codici Ateco, sollevate sia dal leader in pectore del M5s Giuseppe Conte e sia dal sottosegretario all’Economia Cecilia Guerra?
Credo che sia necessario ascoltare con il massimo pragmatismo tutte le voci e le opinioni, costruendo la soluzione più efficace e in grado di riscuotere maggiore condivisione. La preoccupazione è legittima, ma penso al tempo stesso che vada ascoltata la voce di chi dice che ci sono settori che stanno andando benissimo - per cui non ha molto senso prolungare il blocco dei licenziamenti - e altri invece che sono in enorme sofferenza.

Intanto, proprio oggi il segretario di Sinistra Italiana Fratoianni ha depositato in Cassazione la proposta di iniziativa popolare sulla patrimoniale.
Non condividiamo l’idea di un’imposta patrimoniale personale, come abbiamo scritto nel nostro documento di politica fiscale. Abbiamo proposto, invece, una riforma della tassa di successione nella direzione già adottata dalla stragrande maggioranza dei Paesi europei e cioè molto più progressiva di quella attuale. La patrimoniale personale è stata via via abbandonata: nel 1990 la prevedevano 12 Paesi Ocse, oggi sono scesi a 3. Meglio rivedere una imposta esistente come quella sulle successioni che oggi è eccessivamente generosa nei confronti delle grandissime eredità, per finanziare una dote di autonomia per i giovani italiani.