Calenda, dia retta: faccia un corso Tao di integrazione degli opposti
Calenda, per un elementare meccanismo psicanalitico, cerca ora di proiettare la sua evidente e di lunga durata confusione mentale sul povero Enrico Letta
Così Carlo Calenda proietta la sua confusione su Enrico Letta
Carlo Calenda, dopo lo show domenicale dall’Annunziata, in cui ha annunciato il suo tradimento del patto col Pd, deve aver perso definitivamente il boccino. Già domenica sera era sembrato strano sia al portiere, che lo ha visto rientrare saltellante ed eccitato, che alla moglie a cui ha proposto –racconta sconvolta la colf- una delle sue recenti perversioni erotiche, “Amo’ la famo ‘na lavatrice?”, ruotando di 30 gradi il faccione espanso ed inforcando gli occhiali comprati dal giornalaio sotto casa, perché così “fa più proletario”. Ed arriviamo al punto.
Calenda cita sempre la svolta del 1959 di Bad Godesberg del Partito socialdemocratico tedesco della Germania Ovest che ripudiò definitivamente il marxismo per avviarsi ad un cammino riformista. Lo cita a proposito del Partito democratico e accusa Enrico Letta di essere ancora “pre Godesberg perché ha tirato dentro Bonelli e Fratoianni, ai suoi occhi “comunisti”. Vede il diavolo ovunque forse perché molto semplicemente il “diavolo” è lui? Cioè è del tutto ovvio che Calenda ha problemi a integrare armoniosamente parti della sua poliedrica personalità che rasentano la patologia.
Infatti, se si guardano le sue esternazioni da quando qualcuno ebbe la malnata idea di affidargli un ministero, si vede che c’è una continua oscillazione tra un “Calenda rosso” e un “Calenda bianco”, un Calenda comunista ed un Calenda democristiano, un Calenda di sinistra ed un Calenda di destra.
Da ministro dello Sviluppo economico oscillò di brutto passando dai giorni pari della settimana che era anarcocapitalista con tanto di stemmino giallo – nero al bavero ai giorni dispari in cui era ridiventato improvvisamente leninista. Un giorno si sentiva misticamente fuso con l’Istituto Bruno Leoni e con la filosofa Ayn Rand e il giorno dopo lo si vedeva passeggiare con i lacrimoni agli occhi per via delle Botteghe oscure.
Calenda, per un elementare meccanismo psicanalitico, cerca ora di proiettare la sua evidente e di lunga durata confusione mentale sul povero Enrico Letta che non sarà un fulmine di guerra ma qualche bussola politica ancora ce l’ha, se non altro in ossequio al suo maestro Beniamino Andreatta e quindi Romano Prodi.
E quindi l’accusa che ieri ha cinguettato di “Letta comunista!”, strappa un sorriso compiaciuto a chi queste cose non solo le sa ma le osserva da tempo. Azzardiamo una interpretazione. Calenda è nipote di Luigi Comencini che intanto era nato a Salò, non un posto qualsiasi per intenderci e cioè la sede del fascismo repubblicano.
Poi il suo mestiere l’ha portato inevitabilmente a confrontarsi con le tematiche sociali. Ricordiamo a tal proposito L’amore in Italia, del 1956 per la Rai. Un bellissimo documentario in cinque puntate che parlava anche di educazione sessuale in un Paese, il nostro, in cui si facevano ancora ai piccoli mettere le mani davanti agli occhi quando c’era un bacio in Tv.
Oppure il fondamentale "Tutti a casa" del 1960 con Alberto Sordi ed Eduardo De Filippo che raccontava le vicissitudini dei reduci. La madre, la regista Cristina Comencini, ha militato per ben quattro anni in Lotta continua ed è una fervente femminista comunista. Tuttavia la nonna materna era Giulia Grifeo di Partanna, nobile siciliana, di una famiglia di destra.
Il nonno paterno invece, Carlo Calenda (suo stesso nome) era un famoso ambasciatore non certo progressista. Insomma, questo bizzarro cocktail di avi di sinistra e di destra o quanto meno liberali deve aver prodotto dei danni permanenti alla bussola politica del povero Carlo che ora tenta di scaricare sull’incolpevole Letta. Un consiglio glielo diamo volentieri: faccia un corso Tao di integrazione degli opposti, ne gioverà la sua salute mentale e soprattutto l’Italia.