Alessandro Di Battista lascia la porta aperta a un possibile rientro nel M5s

Dibba chiarisce il suo difficile rapporto con le candidature e ribadisce la contrarietà all'accordo col Pd

Di Giuseppe Vatinno
Alessandro Di Battista
Politica
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Di Battista e i suoi punti di vista "ostinati e contrari"
 

Alessandro Di Battista ha finalmente chiarito alla festa de Il Fatto Quotidiano alcune vicende politiche rimaste fino ad ora misteriose.

Di Battista, dopo aver svolto la XVII legislatura come deputato –era vicepresidente della commissione affari Esteri-, non si è candidato alla XVIII. Ha criticato sia il governo giallo – verde che quello giallo – rosso, cioè il Conte 1 e il Conte 2 e poi è uscito dal Movimento nel 2021, quando i Cinque Stelle hanno appoggiato il governo arcobaleno, cioè quello presieduto da Mario Draghi.

Prima del Movimento dichiara di aver votato a sinistra, Rifondazione Comunista ai tempi di Bertinotti e Walter Veltroni. È stato poi un elettore di Italia dei Valori con Antonio Di Pietro. In seguito entra nei Cinque Stelle e diviene il Portavoce per il Lazio, fino a quando non entra in Parlamento dopo aver vinto le “parlamentarie”.

Anima critica della politica, non ha accettato compromessi e questa pare la chiave interpretativa delle sue scelte. Vicino da sempre a Casaleggio, difende i valori primigeni e movimentisti, alcuni dicono populisti. Di Battista sostiene che il Movimento non debba essere né di destra né di sinistra.

In effetti l’agire politico di Grillo ricorda più una sorta di peronismo temperato dalla diversa epoca storica e geografica.

Alla festa de Il Fatto, dove ha presentato il suo nuovo libro Ostinati e contrari scritto con Marco Lillo, ha chiarito, dicevamo, dei punti su cui molti si erano fatti delle domande.

Ad esempio quello della delusione che la sua nuova non candidatura ha provocato nei fan.

Dice Di Battista: “Andiamo sul concreto. Governo con il Pd: io non ero d’accordo, avevo molte perplessità. Luigi Di Maio mi dice: stavolta non puoi non esserci, entra a far parte del consiglio dei ministri… io dico ‘va bene’, sebbene avessi delle perplessità cedevo un po’ in coerenza… quando Patuanelli mi ha chiamato per dirmi che se fossi entrato io entrava anche la Boschi non potevo dire di si”.

Dunque c’è stato veramente un tentativo di farlo entrare nel governo giallo – rosso ma in cambio Renzi –che nel frattempo aveva lasciato il Pd- chiedeva l’entrata di Maria Elena Boschi. Lui non accettò e rimase fuori.

Poi c’è stato il governo arcobaleno di Draghi. Sentiamo cosa dice a proposito l’ex deputato: “Governo Draghi, i vertici del Movimento mi chiamano e mi propongono di fare il ministro dell’Ambiente al posto di Costa… io ho chiamato e ho detto che non avrei accettato. Ma come potevo? Io avevo detto che con Renzi non avrei preso nemmeno un caffè… come avrei potuto sedermi accanto a un ministro renziano, questo non è compromesso, è sputtanamento per me”.

E questa è una novità vera.

Si era molto parlato, a suo tempo, della chiamata per un ministero poi rifiutata, mentre altri pensavano che Di Battista non fosse proprio stato più interpellato e invece non è stato così.

Dato l’impegno ecologista di Di Battista la proposta è stata coerente anche perché la gestione di Sergio Costa aveva provocato già molti malumori nel Conte 1.

Si pensi solo alla fondamentale Commissione di Valutazione di impatto ambientale (VIA) che il ministro rimandò alle calende greche –sebbene fosse già scaduta da un decennio- e quando la fece perse subito la maggioranza dei commissari. Oppure si pensi alla Commissione per l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), che Costa rimandò per mesi (pure questa era scaduta da più di un decennio) e poi nominò commissari incompatibili tanto che è stata annullata dal ministro Cingolani.

Se Di Battista avesse accettato avremmo avuto certamente una gestione ambientale molto migliore.

Poi si arriva al terzo fatto che è recente e riguarda quasi il presente con la crisi del governo Draghi.

“L’ultima volta adesso, io stavo in Manciuria, io Conte lo ho chiamato e ci siamo parlati di questioni politiche anche per avere delle garanzie… certo, quando Conte dice che gli interessi americani ed europei non coincidono, lì per me è convincente… sul tema del Pd, un partito che ti candida Di Maio fa un atto ostile, quindi mi auguro che il M5s con il Pd neanche un caffè si prenderà in futuro… qualora questo dovesse succedere io avrò delle valutazioni in più da fare. Però io non potevo, posto che non mi è stato chiesto di candidarmi, io in quel momento devo per forza tenere l’asticella alta, proprio perché l’ho tenuta alta per anni. E devo continuare a farlo proprio perché un giorno – e arriverà quel giorno – quando io dirò oggi ci sono le condizioni per candidarmi tutti sapranno che non lo starò facendo per convenienza personale ma perché ne sarò convinto e forse così si sarà più credibili per portare avanti un progetto politico e quel momento arriverà”.

Dunque sembra di capire che Dibba non ha rotto definitivamente con il M5S visto che si riserva di fare ulteriori valutazioni qualora ci fosse un riavvicinamento- da lui non auspicato- tra Conte e Il Pd.