Case green, "l'Ue voleva far pagare 40-60mila euro a ogni famiglia italiana"

Intervista a Isabella Tovaglieri, europarlamentare della Lega, unica italiana relatrice ombra della cosiddetta ‘direttiva Case Green’

Di Alberto Maggi
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Isabella Tovaglieri
Politica

"Lavoreremo per il 2028, anno in cui la Commissione rivedrà la direttiva alla luce dei risultati ottenuti, confidando che un cambiamento di maggioranza porti a una revisione della direttiva improntata al buonsenso”

 

“I costi di ristrutturazione di un immobile si aggirano, in media per un appartamento, tra i 40 e i 60 mila euro, una cifra che molte persone non potrebbero permettersi di pagare. Davvero Bruxelles voleva chiedere alle famiglie italiane di sostenere questi costi? E ricordiamo, oltretutto, che circa il 75% del nostro patrimonio edilizio residenziale è nelle classi più energivore, ovvero G, F ed E. Stiamo parlando di circa 9 milioni di edifici!”.

Isabella Tovaglieri, europarlamentare della Lega, componente della commissione Industria, Ricerca ed Energia e unica italiana relatrice ombra della cosiddetta ‘direttiva Case Green’ (nome ufficiale Energy performance of buildings directive, Epbd), commenta così con Affaritaliani.it l’approvazione del provvedimento, avvenuta ieri a Strasburgo (370 voti a favore e 199 contrari) dopo 2 anni e mezzo di lavori, tra cui 9 mesi di negoziati inter-istituzionali tra Parlamento, Commissione e Consiglio per riuscire a raggiungere un compromesso.

Onorevole Tovaglieri, è soddisfatta dell’esito del voto?
“Il testo è uscito molto rimaneggiato dai negoziati, complessivamente migliorato rispetto all’inizio. Nella prima versione della direttiva approvata nel marzo 2023, veniva previsto un obbligo di doppio salto di classe per tutti gli edifici residenziali in Europa (classe E al 2030 e classe D al 2033), che di fatto andava a imporre costosi oneri a carico dei cittadini. Un testo che, anche sotto altri aspetti, era estremamente problematico, una spada di Dàmocle sulla stessa dei cittadini ma anche sul comparto edilizio e creditizio”.

Il testo è dunque migliorato rispetto alle prime proposte?
“L’accordo ha smussato diversi punti altamente critici: è stato tolto l’obbligo di doppio salto di classe e ora saranno gli Stati Membri a doversi occupare di attuare dei piani di efficientamento per le emissioni zero nel parco edilizio al 2050, ma è saltato anche l’obbligo di installare pannelli solari sugli edifici residenziali esistenti”.

A dispetto dei miglioramenti, restate critici.
“Nonostante le modifiche, il testo finale rimane altamente problematico e irrealizzabile in molti aspetti. A partire dell’impianto stesso della normativa, ancora zeppa di obblighi e imposizioni di efficientamento che avranno in ogni caso un impatto forte sui proprietari degli immobili: basti pensare all’obbligo di riduzione dei consumi al 2030 del 16% e del 20-22% al 2035, vincolanti per qualsiasi stato dell’Unione a prescindere dalle caratteristiche del proprio patrimonio edilizio e della situazione interna. Alla luce dello stato peculiare del parco edilizio italiano, alquanto vetusto e frazionato, sarebbe più che mai necessario lasciare agli Stati Membri la possibilità di scegliere quale strada seguire per raggiungere le emissioni zero”.

Insomma, si poteva fare di meglio?
“Decisamente. Altrettanto grave è l’essenza di risorse che l’Europa mette a disposizioni per le opere di efficientamento: nonostante la stessa Commissione preveda costi che si aggirano sulle centinaia di miliardi ogni anno (e in Italia sia stato stimato dai 20 ai 40 miliardi di euro ogni anno), nessuna nuova linea di finanziamento è stata prevista. La direttiva fa riferimento al Fondo sociale per il clima, il PNRR e i fondi di coesione come fondi da cui attingere, ma sono in gran parte vincolati e per nulla sufficienti a coprire le spese previste. Non c’è da dimenticare, infine, che il testo finale obbliga gli Stati Membri a mettere delle sanzioni per chi non rispetta la direttiva, una scelta assolutamente sbagliata che finirà col penalizzare i cittadini che hanno meno possibilità e risorse per adeguarsi”.

Cosa significa tutto questo, in termini di impatto sui cittadini?
“Significa una potenziale minaccia per le tasche dei cittadini italiani, ed in particolare per quelli economicamente più vulnerabili. Nonostante un lavoro negoziale durato mesi, che, ci tengo a sottolinearlo, ha visto comunque alcuni miglioramenti, questa legge rimane ancora un pericolo per tutti i proprietari di immobili, e il recepimento che dovrà fare il Governo italiano, entro il 2026, ha margini troppo stretti per poter evitare gli esiti più nefasti”.

La vostra battaglia, dunque, non finisce qui?
“Adesso lavoreremo per il 2028, anno in cui la Commissione rivedrà la direttiva alla luce dei risultati ottenuti, confidando che un cambiamento di maggioranza porti a una revisione della direttiva improntata al buonsenso”.