Caso Esposito, intercettazioni illecite: accolto il ricorso del Senato

Secondo la Corte costituzionale "l'abitualità dei rapporti del parlamentare col terzo intercettato non basta a renderlo il bersaglio effettivo delle indagini"

di Redazione
Politica

Intercettazioni, la Consulta accoglie il ricorso del Senato sul parlamentare Stefano Esposito 

La Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato contro la procura, il gip e il gup di Torino, in relazione all'attività di intercettazione che ha coinvolto, nell'ambito di plurime indagini, Stefano Esposito, senatore nella XVII legislatura. Con una sentenza depositata oggi (scritta dal giudice Stefano Petitti), è stato dichiarato che non spettava alle autorità giudiziarie che hanno sottoposto ad indagine e, successivamente, rinviato a giudizio Stefano Esposito, disporre, effettuare e utilizzare intercettazioni rivolte nei confronti di un terzo imputato, ma in realtà univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare, senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica.

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Secondo la sentenza, il carattere 'mirato' dell'attività di indagine deve essere ricavato dalla "decisiva circostanza" per cui, nei confronti del parlamentare, emergono "specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondimenti investigativi".

Per effetto dell'accoglimento del conflitto di attribuzione proposto dal Senato, la Consulta ha annullato, limitatamente alla posizione di Stefano Esposito, la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla procura di Torino il 29 luglio 2021 e e il decreto che dispone il giudizio, adottato dal gup il primo marzo 2022. In particolare, la Corte costituzionale ha precisato che "indici quali l'abitualita' dei rapporti tra il parlamentare e il terzo intercettato, il numero delle conversazioni e la loro prevedibilita', nonche' la loro proiezione nel tempo, possono non essere da soli sufficienti a qualificare il parlamentare come bersaglio effettivo delle indagini".

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Ad assumere un "peso determinante" in tal senso - spiega Palazzo della Consulta - "è, piuttosto, l'effettivo e sostanziale coinvolgimento del parlamentare tra gli obiettivi delle indagini": laddove, infatti, tale coinvolgimento del parlamentare "si traduca, indipendentemente dall'acquisizione dello status di indagato, in indirizzi investigativi chiaramente e univocamente rivolti ad approfondire la sua eventuale responsabilita' penale", esso contrassegna la correlata attivita' di intercettazione come "rivolta ad accedere alla sua sfera di comunicazioni e, pertanto, bisognosa dell'autorizzazione preventiva", prevista dall'articolo 4 della legge Boato (n.140/2003) sull'immunita' parlamentare.

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Nel caso che ha dato origine al conflitto, la Corte ha ritenuto che "tale effettivo e sostanziale coinvolgimento dell'allora senatore Esposito emerga chiaramente a partire dal 3 agosto 2015, data nella quale il contenuto delle conversazioni intercettate viene per la prima volta fatto oggetto di 'spunti investigativi meritevoli di approfondimento'. All'avvenuto mutamento degli obiettivi dell'attivita' di indagine, convalidato anche da provvedimenti adottati a seguire e dalla successiva iscrizione del parlamentare nel registro degli indagati, si riconnette quindi - rilevano i giudici costituzionali - l'illegittimita' dell'acquisizione e dell'utilizzo delle intercettazioni successive al 3 agosto 2015 in quanto avvenuti senza che sia mai stata richiesta, dall'autorita' giudiziaria procedente, l'autorizzazione preventiva prescritta dall'art. 4 della legge n. 140 del 2003".

Le intercettazioni disposte ed effettuate prima del 3 agosto 2015 sono invece da qualificarsi, ha sancito la Corte, come 'occasionali', "con la conseguenza che non potevano essere utilizzate nei confronti di Stefano Esposito senza l'autorizzazione successiva richiesta dall'articolo 6, comma 2, della medesima legge". In applicazione, poi, del principio gia' affermato dalla Corte nella recente sentenza sul caso Open, e' stata anche accertata l'illegittimita' dell'acquisizione agli atti di indagine, avvenuta il 19 marzo 2018, dei messaggi WhatsApp, indirizzati a (o prevenienti da) Stefano Esposito quando ricopriva ancora il mandato parlamentare.

All'interno del dispositivo di telefonia mobile di un altro indagato sono stati ritrovati messaggi per i quali, rileva la Consulta, sarebbe stata "necessaria" - ai sensi dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e dell'articolo 4 della legge Boato, una "preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza, costituendo essi corrispondenza, il cui sequestro nei confronti di un parlamentare è, appunto, condizionato alla previa autorizzazione". 

"Mi hanno distrutto la vita violando leggi costituzione e tutto il possibile. Magra soddisfazione. Comunque grazie della tua vicinanza umana e politica". Lo scrive su X Stefano Esposito, dopo la vicinanza manifestatagli da Enrico Borghi (Iv). 

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