Conte, la balcanizzazione dei 5 Stelle agita il Pd. Inside
La partita dei capigruppo Cinque stelle in Parlamento indebolisce l'ex premier e rilancia Di Maio
M5s, la preoccupazione nel Pd per la scarsa presa del leader Giuseppe Conte sui gruppi in vista del voto per il Quirinale
La ciliegina sulla torta è stato il passo indietro di Ettore Licheri a favore della senatrice Maria Domenica Castellone come nuovo capogruppo del Movimento cinque stelle a Palazzo Madama. Un boccone amaro da digerire per il leader Giuseppe Conte, dal momento che il presidente dei senatori uscente rientra tra i contiani di ferro. Un colpo ancora più duro, inoltre, visto che il capo del M5s ha dovuto cedere di fronte all’avanzata di una dimaiana come Castellone. Senza contare la precedente resa sul capogruppo alla Camera che l’ex premier avrebbe voluto sostituire. Niente da fare neanche lì: il deputato Davide Crippa, vicino a Beppe Grillo, ha avuto la meglio e intanto rimarrà in sella fino a fine mandato, con la prospettiva di una possibile ricandidatura, mentre si assottigliano le possibilità di imporre un fedelissimo come Alfonso Bonafede.
Segnali non di poco conto rispetto a una leadership, quella dell’avvocato del popolo, che stenta ad affermarsi e soprattutto ad essere riconosciuta come tale. Tutti elementi che destano qualche preoccupazione pure dalle parti del Pd che ha proprio nel M5s l’interlocutore privilegiato. Un dem di lungo corso sintetizza così l’attuale fase politica con il nostro giornale: “In questo momento abbiamo due tecnici sulla scena: Mario Draghi al governo e Giuseppe Conte alla guida del Movimento. Il primo ce l’ha fatta e il secondo no”.
E, in effetti, l’ex numero uno della Bce ha una credibilità tale da essere riuscito a convertire tanti, tutti folgorati sulla via draghiana. Vale per il numero due della Lega Giancarlo Giorgetti, per Forza Italia, ma per lo stesso Pd, che ha sposato sin da subito l’agenda Draghi, e per parte del M5s, ministri in testa. Conte, invece, no. Nel passaggio da Palazzo Chigi a via Campo Marzio (dove ha il suo nuovo quartier generale) ha perso smalto. “In questi mesi di leadership – punge un pentastellato critico – non si ricorda una posizione significativa e incisiva sulla politica italiana”. Tant’è che non manca chi scommette addirittura sulla sua tenuta e durata al timone del Movimento. Un pensiero comune sia tra le fila Cinque stelle che tra quelle dem. Al punto che un insider Pd ad Affari dice chiaramente: “Non escludo che la guida di Conte possa essere messa a dura prova nella partita del Quirinale. Temo che non regga”.
C’è il rischio che cominci a vacillare la fede nell’alleanza con i pentastellati? Questo il Partito democratico tende a escluderlo: “La relazione con i Cinque stelle dipende dalla legge elettorale - spiegano ad Affari -. Con la bassa probabilità di cambiarla e, quindi, mantenendo i collegi, l’alleanza M5s-Pd è obbligatoria, è una variabile tecnica da cui non si sfugge. E, anzi, riguarda anche Calenda e Renzi”. Lo scenario potrebbe cambiare soltanto se, ma è molto complicato, andassero in porto progetti di riforma tipo quello cui stanno lavorando al Senato il dem Dario Parrini e il leghista Roberto Calderoli: l’eliminazione dei collegi dal Rosatellum. Solo in tal caso, con la previsione di liste, sarebbe possibile uno sganciamento tra i partiti. Allora sì che le alleanze non sarebbero più obbligatorie.
Al di là delle sorti della legge elettorale, però, la sfida imminente adesso è l’elezione del presidente della Repubblica. Quanto è affidabile l’ex presidente del Consiglio nel condurre le danze? La fotografia attuale è quella di un M5s ancora balcanizzato. La luna di miele con Conte non è ancora decollata. “C’è molto malumore nei gruppi”, confessa al nostro giornale una fonte parlamentare del Movimento. La scelta in solitaria dei vicepresidenti, infatti, sono in molti a non averla digerita. Una situazione ormai manifesta anche dalle parti del Pd: “In più si sta rafforzando nuovamente Luigi Di Maio – osserva l’insider dem – e cioè l’ala più istituzionale. Pesa sicuramente pure il ruolo da ministro che svolge. Ciò non significa che possa trascinare tutti, una fetta magari sarà più coinvolta da Di Battista e chissà, potrebbe seguirlo, ma la gran parte si è istituzionalizzata e segue un preciso filone di pensiero. Conte, invece, al momento non ne esprime”. Al punto che potrebbe diventare Di Maio un interlocutore di Enrico Letta per la partita del Colle? “Il segretario parla con chi gli viene presentato come leader di quello che rimane un alleato obbligatorio”. Almeno su tale fronte l’avvocato pugliese può stare tranquillo.