Elezioni, cosa (non) insegnano le vittorie in Uk e Francia alla Sx italiana

La Sinistra torna a vincere in Europa. Parla il politologo Galli: "La destra si può battere, ma in Italia sbaglia chi cerca un modello straniero da imitare"

di Andrea Muratore
Politica

Ecco cosa (non) insegnano le vittorie in Regno Unito e Francia alla sinistra italiana

“In Italia dopo le elezioni di Regno Unito e Francia si è visto più di un esponente di sinistra gridare alla  vittoria, come se fossero loro in prima persona ad aver conquistato il successo elettorale. E ritengo mortificante il fatto che nel nostro Paese si cerchi sempre il modello straniero da imitare su questo fronte”. Il professor Carlo Galli, politologo, a lungo professore ordinario di Storia delle Dottrine politiche presso l’Università di Bologna, analizza così l'attuale dibattito politico sorto dopo le elezioni in Francia e Regno Unito.

A Londra il Partito Laburista è tornato al potere dopo quattordici anni consecutivi di opposizione, in Francia a sorpresa il secondo turno dei ballottaggi alle legislative anticipate ha dato la maggioranza relativa all’ampio e composito Nuovo Fronte Popolare che va dalle formazioni socialdemocratiche alla sinistra radicale. Galli, però, ci ricorda che “paragonare queste due situazioni è un errore concettuale e politico”. L'intervista.

Professore, quali sono le maggiori differenze?

Rileverei due tipi di differenze. La prima di contesto e la seconda sulla natura delle sinistre di cui parliamo e dei loro risultati. Innanzitutto, Regno Unito e Francia sono caratterizzati da un sistema elettorale diverso e da una storia recente diversa che li rende non accomunabili in quanto a dinamiche elettorali.

E sul fronte della differenza delle due sinistre?

Differiscono per costituzione e risultato. In Gran Bretagna vince con Keir Starmer un Partito Laburista che rappresenta oggigiorno una sinistra non ideologica. Invece in Francia primeggia in termini relativi e non assoluti, ottenendo comunque un risultato ben sopra le aspettative, una coalizione composita avente come forza principale La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, una formazione radicale e duramente populista.

Da un lato un partito unico, dall’altro una coalizione di forze spesso rivali tra loro di recente…

Si, e infatti questa è un’importante differenza. In Regno Unito, ad Il Partito Laburista di Starmer ha conosciuto un percorso preciso, non privo di elementi di conflittualità interna come l’espulsione dell’ex segretario Jeremy Corbyn, in Francia prima e dopo la nascita del Fronte Popolare si è vista una dualità interna tra la sinistra radicale di Mélenchon e le forze più moderate. Del resto queste evoluzioni riflettono lo sviluppo politico e sociale dei due Paesi. E i risultati della sinistra, va ricordato, vanno pesati anche in relazione al consenso ottenuto.

In Regno Unito, in tal senso, come si può leggere il risultato dei Laburisti?

In termini di seggi e collegi vinti è un’affermazione indiscutibilmente netta. Ma bisogna analizzare nel profondo le dinamiche sociali. Si pensi a un dato: il Partito Laburista ha conquistato circa un terzo dei voti e vinto in due terzi dei seggi. Ha approfittato del tracollo del Partito Conservatore che governava dal 2010, ma non ha conquistato una netta avanzata in termini di voti paragonabile alla crescita dei seggi alla Camera dei Comuni. Anzi, se guardiamo al dato delle urne notiamo che una formazione di destra populista come Reform Uk di Nigel Farage ha quasi eguagliato il numero di voti dei Tory.

Quanto hanno pesato la disaffezione per i Tory e il sistema elettorale britannico nell’affermazione laburista?

Molto. Da un lato, perché il sistema elettorale britannico vincola l’eletto al collegio, e dunque questo sfavorisce partiti di opinione trasversali, come il Reform che ha vinto solo quattro seggi, non radicati nel territorio. Dall’altr,o perché il Partito Laburista è parso a molti elettori un’alternativa chiara a quattordici anni di egemonia conservatrice che hanno portato a un arretramento delle condizioni economiche del Regno Unito, a una lunga crisi socio-politica e al tramonto del peso internazionale del Paese. Il Partito Laburista è parso l’alternativa più credibile anche se su molti dossier non è in netta rottura con i Tory. Si pensi alla Brexit, che Starmer si guarda bene dal mettere in discussione. Come, del resto, nella politica inglese non fa più nessuno a parte i Liberaldemocratici.

Si è parlato di Starmer come nuovo Tony Blair. Condivide questa chiave di lettura?

Non vedo particolari affinità: la visione di Starmer ha poco a che vedere con la Terza Via promossa da Tony Blair e Anthony Giddens negli Anni Novanta. Mi spiego: la Terza Via aveva una sua coerenza con lo spirito del tempo e una sua ragion d’essere come tentativo di interpretare un’epoca storica in cui la rivoluzione neoliberista e il trionfo della globalizzazione venivano dati per assodati. Negli Anni Novanta emerse l’idea che il compito primario della politica, anche progressista, fosse sostanzialmente quello di gestire la trionfale marcia globale del capitalismo. Parliamo di un’epoca diversa dalla nostra, dove Starmer arriva al potere in una fase segnata da grandi rotture e disuguaglianze, e crisi internazionali e interne.

In Francia, invece, la sinistra è prima coalizione ma non ha i numeri per governare. Che scenari si aprono?

In Francia la partita è complessa, e partirei ricordando che il Nuovo Fronte Popolare è primo in termini di seggi ma non di voti, perché il Rassemblement National ha preso circa il 37% dei voti e ha preso meno seggi della sinistra e della coalizione presidenziale solo perché il sistema elettorale a doppio turno è strutturalmente conservativo e tende a tenere all’esterno forze ritenute di rottura dall’establishment. Difficilmente un governo potrà partire, nel post-voto, dall’agenda del Fronte Popolare, e la partita va letta in direzione della prospettiva che si aprirà da qua alle presidenziali 2027.

Emmanuel Macron ha salvato il salvabile in vista del prossimo futuro?

Il presidente ha limitato i danni e ora, seppur indebolito nella sua rappresentanza in Parlamento, può guadagnare un biennio di tregua da qui alla fine del suo secondo mandato prima della prossima campagna elettorale per l’Eliseo che deciderà il suo successore in cui si giocheranno due scommesse. Da un lato, quella dell’Eliseo, centrata sulla prospettiva del logoramento di una destra condannata a restare ancora all’opposizione. Dall’altro, la scommessa di Marine Le Pen e del Rassemblement di puntare sulle problematiche di un futuro governo per consolidare ulteriormente i suoi successi elettorali. Non dimentichiamo che la Francia affronterà a breve la prova del nove, senza precedenti, della procedura d’infrazione europea sui conti pubblici.

E Mélenchon? Che prospettive avrà di fronte all’ipotesi di governo che potrà sorgere di fronte all’Assemblea Nazionale?

La sensazione è che Macron possa fornire l’incarico a una figura chiamata a non mettere in discussione lo status quo degli attuali equilibri della Francia all’interno e in Europa. Il che rende complesso ipotizzare la convivenza, per fare solo un esempio, tra gli autori della riforma delle pensioni e gli oppositori più netti che da sinistra hanno sfilato nelle piazze per chiederne il ritiro. Non è da escludere quello che chiameremmo un governo tecnico, ove però Macron potrebbe coinvolgere i Repubblicani di centro-destra e fazioni più vicine a lui del Nuovo Fronte Popolare, come ad esempio il Partito Socialista. Sarebbe suicida politicamente per Mélenchon prestarsi a un’operazione del genere.

Quindi, difficile trarre lezioni definitive per la sinistra italiana da questi due scenari?

La sinistra italiana, che ora cerca i modelli francese o britannico dopo aver inseguito quello spagnolo e quello americano, ama dire “abbiamo vinto” quando all’estero hanno successo forze che crede a lei affini. Ma in sostanza i voti di Francia e Regno Unito fanno storia a sé e danno solo una lezione, per quanto non secondaria: la destra è battibile, e questo bisogna ricordarlo. Ma è battibile, nel nostro Paese,  solo se si verificano contemporaneamente due condizioni: da un lato, una legge elettorale che faciliti la costituzione di un sistema di forze politiche aspiranti a diventare maggioritarie. Dall’altro, la composizione di una coalizione sociale e politica che non abbia come obiettivo unico solo quello di battere le destre o fermarle, ma presenti una visione organica e delle idee chiare sulla società che intende contribuire a realizzare. Questo secondo punto, di cui il Regno Unito non ha bisogno, non è stato presente in Francia. E ciò deve essere un punto di riflessione per le forze italiane. 

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