Da zero (Letta) a dieci (Renzi): le pagelle semiserie dei leader politici
Salvini non ne azzecca più una, Berlusconi un voto sulla fiducia (ma basta con TikTok). E la Meloni ha capito che cosa non fare
Le pagelle dei leader politici
LETTA, voto zero. Ha rigettato Conte per imbarcare Bonelli e Fratoianni, ovvero quelli che hanno osteggiato Draghi fin dalla prima ora. Ma il senso? Poi si è barcamenato nella demonizzazione di Meloni, ha fatto manifesti degni delle onoranze funebri Taffo, ha contestato la legge elettorale (come i calciatori che contestano le regole a gioco in corso), ha fatto proclami più populisti dei populisti, ad esempio dicendo di voler superare il Jobs Act, una delle cose intelligenti fatte dalla sinistra, ma Pietro Ichino (su Il Foglio del 6 settembre) con numeri alla mano gli ha dimostrato i benefici ottenuti da questa riforma. Ma non era Letta quello della competenza? Dei dati oggettivi?
MELONI, senza voto. A campagna elettorale avviata si è ritirata. Che senso avrebbe avuto scalpitare troppo? Vincerà a mani basse e non le serviva fare nulla se non dire che agirà non da sprovveduta. Qualche anima bella potrebbe indignarsi su fiamme o altro, però va detto che le due cose che doveva dire le ha dette, ovvero: no a scostamento di bilancio e no a derive putiniane. Su Meloni il capitolo lo apriremo dopo le elezioni con i fatti.
CONTE, voto sei. Sui contenuti i refrain di Conte sono quelli dei 5 Stelle prima maniera, ovvero un mix di oscenità strampalate (ad esempio “cambiamo il PNRR” come se lo avessimo concordato al bar) e libri dei sogni (dal programma leggiamo “Per una vita degna senza precarietà”, bellissimo, dicci come però, magari con un lavoro di Stato a tutti così si annulla la precarietà?) ma con l’aggravante che i 5 Stelle li abbiamo già visti all’opera e i risultati li conosciamo. Detto ciò, Conte ha saputo leggere bene la situazione elettorale, si è insinuato al meglio come pungolo di Letta con una propria e chiara identità (non ridete, ma è pur sempre una identità) rispetto al PD.
SALVINI, voto due. Resta il leader che ignora il mondo intorno a lui. Dopo l’umiliazione in Polonia quando si propose di portare aiuti agli ucraini sfollati, dopo la follia del Papeete che ha avuto il risultato di riportare la sinistra perdente al governo, dopo i folcloristici blocchi dei porti, dopo non aver capito nulla della forza delle sanzioni alla Russia, dopo l’invocazione di scostamenti di bilancio ignorando che sono una spada sulla testa dei figli, è un leader sempre più irrilevante a prescindere dai voti che prenderà.
BERLUSCONI, sette. Berlusconi ha fallito su tutto, gli avremmo perdonato festini e conflitti di interesse se avesse trasformato davvero l’Italia in un paese liberale come proclamato nella discesa in campo del ‘94. Però una cosa va detta, resta colui che ha inventato nei fatti il bipolarismo e che ha creato un’alternativa alla sinistra, a prescindere dalla qualità di questa alternativa. Quindi un sette ad honorem e per la simpatia delle sue barzellette, però lasci perdere Tik Tok altrimenti lo declassiamo a un bel quattro.
CALENDA, voto otto. Voto tondo, quello dei secchioni a scuola. Che dire? E’ il candidato perfetto che sta sulle scatole perché più intelligente e preparato (e non di poco) della media dei suoi concorrenti. Il colpo da maestro sarebbe un governo di centro destra con Azione senza la Lega e con una Meloni che conferma alcune cose sensate che sta dicendo.
RENZI, voto dieci. Resta il leader più intelligente. Col suo due per cento ha dettato la recente politica italiana e ha avuto il merito assoluto di mandare a casa Conte. Capito però che elettoralmente conta zero si è messo in schiena a Calenda. Applausi.
DI MAIO, voto uno. Un po’ più di Letta perché almeno si è alleato con Tabacci che rispetto a Bonelli e Fratoianni…Per il resto prima dimentichiamo Di Maio e meglio è.