Pd, i dazi di Trump nascondono le liti interne. Ma se Schlein cede la Campania a Conte crolla tutto. Ko alle urne e congresso

L'ultima votazione in Europa simbolo di un partito lacerato

Di Alberto Maggi
Politica

Per la segretaria Dem il vero banco di prova sono le candidature alle prossime elezioni regionali


La guerra commerciale mondiale scatenata da Donald Trump, "amico" di Giorgia Meloni e soprattutto di Matteo Salvini, con i dazi ha ovattato tutto. E ha soprattutto ricompattato, ufficialmente e formalmente, le opposizioni (tranne in parte Azione di Carlo Calenda) e il Partito Democratico nella critica al governo, troppo prudente e incapace di reagire di fronte alla grave crisi; con l'accusa di non seguire l'esempio spagnolo del governo Sanchez, che ha subito stanziato 14 miliardi di euro per il sostegno al sistema produttivo iberico. Ma, dietro le quinte, il malessere cova al Nazareno.

L'ultimo motivo e momento di scontro è stata la partecipazione di una delegazione ai massimi livelli - c'era il capogruppo al Senato Francesco Boccia e quasi una decina di membri della segreteria nazionale - alla manifestazione ultra-pacifista del Movimento 5 Stelle di sabato 5 aprile a Roma, dove Giuseppe Conte si è di fatto intestato la titolarità dell'opposizione al Centrodestra affermando che "stiamo costruendo l'alternativa a questo governo".

L'ala riformista non ha gradito affatto la scelta della segretaria Elly Schlein di inviare una delegazione così folta e autorevole in una piazza troppo spostata a sinistra e troppo anti Commissione europea e soprattutto palesemente contro il piano da 800 miliardi di euro di Ursula von der Leyen per la Difesa Ue sostenuto invece da tutti gli altri partiti socialisti e socialdemocratici del Vecchio Continente. Altro motivo di lacerazione tra i Dem l'ultima votazione all'EuroParlamento dove è stata trovata una soluzione iper-democristiana per dire tutto e il contrario di tutto. Cioè niente. Un escamotage per tenere unito il gruppo ed evitare un'altra clamorosa frattura.

Lo spiega bene l'eurodeputato riformista e moderato del Pd Giorgio Gori, ex sindaco di Bergamo, secondo il quale affermare che siamo "per la difesa comune, ma contro il riarmo" è un'ingenuità se non un barbatrucco. Queste parole segnano in modo chiarissimo la divisione tra il fronte Gori-Fassino-Guerini-Picierno (che vorrebbero Paolo Gentiloni segretario e candidato premier, sostenuti anche da Romano Prodi) e l'attuale maggioranza del partito formata da Schlein-Bettini-Orlando.

Attenzione però, perché se ora tutto viene celato dalle critiche aspre al governo per l'inerzia di fronte alla "guerra" di Trump al mondo all'Unione europea, dietro le quinte si guarda con grande attenzione alle prossime candidature alle elezioni regionali. Come raccontano fonti moderate del Pd, se Schlein dovesse cedere alla pressante e fortissima richiesta del M5S di schierare come candidato in Campania Roberto Fico, ex presidente della Camera e uomo di punta di Conte, certificando così la rottura con Vincenzo De Luca (Governatore uscente), al di là della pronuncia della Corte Costituzionale sulla legge regionale per il terzo mandato, la frattura con il fronte moderato e riformista Dem potrebbe esplodere in modo clamoroso.

Schlein non vuole perdere l'asse con i pentastellate e potrebbe accettare di sostenere Fico, ma in questo modo De Luca correrebbe o lui da solo autonomamente (se la Consulta glielo consentisse) o sostenere un suo fedelissimo con la quasi certa vittoria del Centrodestra a causa delle divisioni delle opposizioni in Parlamento. Perdere la Campania per inseguire il M5S farebbe deflagrare il Pd e a quel punto, probabilmente, anche Dario Franceschini mollerebbe la segretaria per spostarsi verso Gentiloni provocando un vero e proprio terremoto che potrebbe portare entro fine anno a nuove primarie e a un congresso per ridefinire leadership e linea politica del principale partito di opposizione al governo Meloni.

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