De Micheli, l'underdog del Pd: "Esito ovvio? No, punto alle primarie"

"Sono l'unica ad avere in mente un modello di Pd alternativo a quello attuale. Il congresso è tutto sui nomi, ecco le mie idee per il Paese"

Di Lorenzo Zacchetti
Politica

Intervista a Paola De Micheli: "Sarò la sorpresa di questo congresso"

 

Il quadro delle alleanze in vista del congresso del Pd sembra decisamente eloquente. Stefano Bonaccini, forte dei larghi appoggi da parte di varie correnti e maggiorenti del partito, è largamente favorito. La sola Elly Schlein ne tiene il passo, sperando di recuperare il gap nel secondo turno, grazie al voto dei simpatizzanti alle primarie aperte. Un esito già scritto? Non secondo Paola De Micheli, ex ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, che tutti i pronostici danno come fanalino di coda, ma tutt'altro che arrendevole: “Le previsioni sono fatte per essere smentite. Sto facendo una campagna molto bella e profonda. Tutti i candidati partono alla pari. Purtroppo il numero degli iscritti è in calo e non è prevedibile la partecipazione. Anche per questo le previsioni della vigilia sono molto complesse", spiega ad affaritaliani.it.

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Non si sente l'underdog di questa competizione?

Ho letto il suo articolo nel quale mi definisce così... in effetti è vero. Io vengo dalla povertà. Faccio parte di una delle ultime generazioni che ha preso l'ascensore sociale in questo Paese. Sono stata disoccupata, ho lavorato nei campi, sono andata all'estero, ho fatto la manager nell'estremo Ovest della Cina, in Nigeria, in Ghana e in altri Paesi dove nessuno accettava di andare. Ecco perchè la definizione di underdog non mi dispiace... se non per il fatto che l'ha già usata Giorgia Meloni (ride, ndr)! Forse dovremmo coniarne un'altra: diciamo che sono una lavoratrice, che non ha mai avuto paura della fatica.”

Ma non si sente un po' sola, nella sfida con candidati sostenuti da più aree del partito? Dalla sua parte ci sono vari amministratori locali, ma nessun nome di calibro nazionale, come mai?

“Oggi siamo una rete che copre 95 province, molto radicata sul territorio. In questi mesi ho fatto un grosso lavoro per uscire dal Nazareno ed essere la candidata degli iscritti. Propongo un modello di partito aperto, ma che conferisce un ruolo determinante agli iscritti, su tutte le decisioni fondamentali. Sono l'unica ad avere in mente un modello alternativo a quello attuale. Sono per un partito solido, non per un comitato elettorale che funzioni solo per le elezioni e nemmeno un luogo nel quale si discuta solamente, bensì dove si possa decidere”.

Come sta procedendo questa campagna congressuale, a cavallo delle feste natalizie?

“In questa prima fase, abbiamo tradotto la proposta programmatica in un'attività pratica di frequentazione degli iscritti. Delle 95 province di cui parlavo ne ho già visitate personalmente quasi 40, incontrando persone che già prima volevano sostenermi o che alla fine degli incontri quasi sempre hanno deciso di darmi la loro fiducia. Nella settimana dal 9 al 14 gennaio farò altre 11 tappe, dalla Calabria fino a Brescia e Bergamo”.

Crede che lo scarso presidio del territorio sia uno dei motivi della crisi in cui versa il Pd?

“Il problema è stato soprattutto il mancato ascolto degli iscritti, che purtroppo sono sempre meno. La distanza tra la base e le posizioni nazionali non è figlia del fatto che siamo poco tra la gente: in fondo durante le campagne elettorali facciamo ciò che fanno tutti, ne' più, ne' meno. Il problema vero è che noi avremmo il potenziale per trasformare i militanti in moltiplicatori di opinione. E sarebbero molto più forti sia dei social che dei media tradizionali”. 

Perchè non funziona? Come si può restringere questa distanza?

“Attraverso due comportamenti: la conoscenza delle questioni locali e l'effettiva possibilità di decidere. Se questo non si verifica, la distanza aumenta. Il segretario nazionale Pd, insieme a quello della regione in questione, di tanto in tanto dovrebbe frequentare e ascoltare i Pd comunali e provinciali, per conoscerne almeno i problemi principali”. 

C'è un problema di selezione della classe dirigente? Penso al Qatar-gate, ma anche al fatto che a ogni livello vediamo sempre le stesse facce...

“Sì, ma è finita un'epoca. Il Pd non può più essere il partito della responsabilità, quello che governa un pochettino meglio e che fa manutenzione straordinaria dell'esistente: non basta più. Deve essere il partito del desiderio mai sazio dell'uguaglianza, della visione. Deve avere un principio vitale che renda affascinante la vita di partito, non può essere semplicemente la risposta al bisogno del singolo dirigente, locale o nazionale. Per me questa prospettiva sta nella lotta alle disuguaglianze. Credo che i meccanismi di selezione della classe dirigente abbiano bisogno di un profondo cambiamento, anche perché non sono quasi mai legati al consenso. Per questo nella mozione si prevede che per scegliere i parlamentari e i candidati alle cariche monocratiche si facciano le primarie di partito con il voto ponderato, ovvero con il voto degli iscritti che vale doppio, mentre quello dei simpatizzanti vale uno. Ogni mia elezione è passata dalla conquista del consenso sul territorio e so bene come questa dinamica ti costringe a stare con i piedi ben piantati per terra, perché è da lì che attingi la linfa vitale. Ti nutri di realtà... perchè hai l'obbligo di starci dentro”.

Coi listini bloccati altro che obbligo: questa dinamica non esiste più...

“Sì, infatti quello di cui parlo è un cambio di paradigma radicale. E questa cosa è più urgente per noi di sinistra, mentre l'elettorato di destra ha altre esigenze. Noi prima dobbiamo consolidare il rapporto con il nostro elettorato, poi nelle campagne elettorali ovviamente dovremo cercare di intercettare il voto fluido, che fa la differenza. Ma questo accadrà dopo”.

A questo proposito, lei immagina un Pd più vicino al M5S o al Terzo Polo?

“Io credo che siano gli altri a doversi avvicinare a noi. Un partito forte, che sia attrattivo e che spinga gli altri a voler realizzare una coalizione. Siamo nella fase di rifondazione di un partito che ha governato per 11 anni negli ultimi 15: se la prima cosa che si dichiara è con chi ci si vuole alleare, non ci si concentra su quello che vogliamo essere noi. Nella nostra storia recente, ho mal digerito alcuni passaggi di subalternità, soprattutto nei confronti delle leadership”. 

Ovvero di Giuseppe Conte, che piace molto a una parte del Pd...

"Non solo, anche Draghi. Ho fatto parte del governo Pd-M5S e siamo riusciti a sbloccare le opere, quando il M5S doveva essere la forza che invece le opere non le voleva. Tanto per dirne alcune: il terzo valico, la TAV e anche il Ponte sullo Stretto di Messina, finanziando il progetto del quale speriamo che adesso qualcuno raccolga i frutti”.

Beh, a raccoglierne i frutti potrebbe essere Salvini, visto che ne ha fatto un cavallo di battaglia, non senza polemiche. E' sempre convinta della sua scelta? Nessun ripensamento sul Ponte?

“Nessun ripensamento. Avevamo assegnato a una commissione terza l'analisi del vecchio progetto e dei fabbisogni economici, sociali e geopolitici. Il risultato è una dettagliata relazione - discussa nella scorsa legislatura e depositata in Parlamento – la quale dimostra che il Ponte è un'opera molto importante sotto ogni profilo. A seguito di quella relazione  abbiamo stanziato 50 milioni dal bilancio dello Stato per il 2021 per realizzare il nuovo progetto, visto che quello vecchio si era dimostrato inidoneo sotto il profilo ambientale e della modernità delle tecnologie costruttive. Giovannini ha deciso di assegnare a Italferr la progettazione e quindi se il progetto andrà avanti ne sarò contenta”.

Torniamo al congresso del Pd: tra le altre mozioni, quale sente più vicina e quale più lontana?

“Devo essere sincera. Ho capito che ci sono alcuni tratti che profilano la personalità dei candidati, la loro storia, ma non sono chiare le loro intenzioni concrete sul partito e sul Paese. Mi spiego: Bonaccini si presenta come buon amministratore, Schlein si definisce la novità e Cuperlo come rappresentante della sinistra che ha fondato il Pd, ma quello che vorranno fare è ancora da scoprire”.

E lei che cosa vuole fare?

“Abbiamo detto in maniera chiara alcune cose, sia sul modello del partito (di cui abbiamo parlato prima), sia sui temi del lavoro. Proponiamo di riscrivere lo Statuto dei lavoratori. Penso a uno Statuto dei lavori, con nuovi diritti da riconoscere. Nel mio libro “Concretamente – Prima le persone” (Ed. Rubbettino, 128 pag., 13,30 euro) ci sono una serie di altre idee, da una nuova visione delle infrastrutture come strumento di lotta alle disuguaglianze, fino al modello fiscale diverso rispetto a quello attuale. Insomma, un po' di idee le abbiamo messe sul tavolo. Negli altri vedo una forte esigenza di cambiare il gruppo dirigente che peraltro mi trova concorde, come si capisce anche dal fatto che negli ultimi anni sono stata un po' defilata, non condividendo alcune scelte. Ho fatto anche autocritica, cosa che nessun altro ha fatto, eppure Bonaccini è sempre stato un dirigente di riferimento e Schlein è stata europarlamentare Pd, poi è uscita dal partito e vi è rientrata per affrontare la recente campagna elettorale”.

E Cuperlo?

“Cuperlo ha appena cominciato la sua campagna congressuale, quindi aspetto di ascoltare e leggere le sue proposte. In generale, finora di piattaforme programmatiche ne ho viste poche. Mi pare un congresso totalmente polarizzato sui nomi”.

A Giorgia Meloni il ruolo di underdog ha portato bene: può succedere anche a sinistra, con la prima donna eletta segretaria del Pd?

“Me lo auguro, ma non tanto per me, perché fare il segretario del Pd è il lavoro più difficile che ci sia in politica. Lo auguro al partito, che ha bisogno di un lavoro profondo, paziente e non autorefenziale di riconnessione con la realtà. So di poterlo fare, insieme alle migliaia di persone che mi sostengono”.

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