Deforestazione, rivolta anti-piano Ue. Anche il Brasile dice no. Verso un rinvio
La transizione green europea rischia di restare un buon proposito
Per l'Indonesia, uno dei maggiori esportatori mondiali di prodotti in legno, olio di palma, cacao e caffè, la legge non tiene conto degli sforzi dei Paesi per bilanciare la conservazione della natura con i mezzi di sostentamento della popolazione
Continua a far discutere il regolamento sulla deforestazione, uno dei pilastri del green deal europeo.
Il regolamento europeo per combattere la deforestazione nel mondo, già finito sotto il fuoco incrociato di diverse cancellerie d'Europa, compresa quella molto influente della Germania e dell’Italia, che stanno chiedendo alla Commissione europea di ritardarne l'entrata in vigore, ora viene criticato pesantemente anche dal Brasile. Il ministro degli Esteri Mauro Vieira e quello di Agricoltura e Allevamento, Carlos Fávaro, hanno bollato il progetto come "uno strumento unilaterale e punitivo che ignora le leggi nazionali sulla lotta alla deforestazione" e che contiene "aspetti extraterritoriali che contraddicono il principio di sovranità".
Ma in realtà sarebbero già 17 i paesi extraeuropei che hanno mostrato contrarietà ad un provvedimento considerato dannoso per il commercio di molti prodotti agricoli. Per l'Indonesia, uno dei maggiori esportatori mondiali di prodotti in legno, olio di palma, cacao e caffè, la legge non tiene conto degli sforzi dei Paesi per bilanciare la conservazione della natura con i mezzi di sostentamento della popolazione, e non fornisce loro un accesso adeguato alle competenze, all'assistenza finanziaria e tecnica. "Con questo sistema unilaterale settaggio degli standard, l'Ue assegnerà un bollino a qualsiasi Paese, sia esso fautore o oppositore dell'ambiente, ignorando i suoi sforzi per combattere il cambiamento climatico e la deforestazione nella sua regione", ha affermato qualche settimana fa l'ambasciatore indonesiano Andri Hadi. "L'approccio univoco dell'Ue non prende in considerazione le differenze e le specificità di ogni Paese, che si tratti della flora, della fauna o del suo popolo e delle sue tradizioni".
Il provvedimento denominato Eudr (Regulation on Deforestation-free products), che mira a impedire l'ingresso nei nostri mercati di prodotti che derivino dallo sfruttamento eccessivo delle aree boschive, è accusato di essere troppo stringente e di richiedere oneri burocratici che mettono in difficoltà le imprese del blocco. Il Regolamento riguarda sette materie prime (bovini, cacao, caffè, palma da olio, gomma, soia e legno) e gran parte dei prodotti da esse derivati.
La nuova legislazione è stata oggetto di critiche da più parti negli ultimi mesi, con i partner commerciali dell'Ue e le industrie europee che si sono lamentate della complessità delle nuove regole, che richiederanno alle aziende di dimostrare che il legno, la carta, il caffè, il cacao, la soia, l'olio di palma, la gomma e il bestiame non sono stati prodotti su terreni deforestati. Ma le autorità europee sembrano intenzionate, così come sul regolamento per le auto elettriche, ad andare avanti testardamente per la loro strada. Ma a rischio potrebbero esserci molti accordi commerciali con alcuni paesi extraeuropei, come per esempio quello con il Mercosur, che non a caso è sotto il tiro incrociato di verdi e sinistre proprio per il rischio di deforestazione dell'Amazzonia.
Tutto questo ovviamente senza considerare minimamente quello che potrebbe essere l’impatto economico sul settore agricolo europeo, che vedrebbero adesso a rischio anche alcuni fondamentali accordi commerciali con altri paesi, proprio a causa di queste nuove regole. Questo fatto non può non allarmare soprattutto chi, come il nostro paese, sono grandi esportatori di prodotti agricoli. Uno studio della commissione europea suggerisce che la chiusura degli accordi commerciali, come per esemoio quello con il Mercosur, aumenterebbe le esportazioni di prodotti agricoli. Attualmente gli Stati membri dell'Ue insieme risultano il principale esportatore mondiale di prodotti agroalimentari: nel 2022 con 58 miliardi di euro calcolati, la bilancia agroalimentare dell'Ue risulta particolarmente positiva. Secondo una recente relazione sulla diversificazione del commercio agroalimentare, questa posizione dominante viene consolidata, grazie a relazioni commerciali equilibrate e favorevoli con i Paesi terzi, da cui comunque i Paesi europei importano in abbondanza materie prime alimentari, come grano, mais, soia e carne.
Nel 2032, stima la ricerca, il valore delle esportazioni agroalimentari dell'Ue sarebbe compreso tra 3,1 e 4,4 miliardi di euro in più rispetto a quanto verrebbe ottenuto in assenza di questi dieci accordi commerciali.
Ad avvantaggiarsi maggiormente sarebbero i prodotti lattiero-caseari (+ 780 milioni di euro), il vino e altre bevande (+ 654 milioni di euro), insieme ai prodotti agroalimentari trasformati come passate, conserve e prosciutti (+1.3 miliardi). Qualità, sicurezza e sostenibilità sono le caratteristiche degli alimenti che più rafforzano la reputazione del cibo europeo a livello mondiale. Il ministro italiano dell’agricoltura, Francesco Lollobrigida ha chiesto, pochi giorni fa, a Bruxelles il rinvio di un anno dell’attuazione del regolamento EUDR, sostenendo che le imprese non sono pronte a garantire la tracciabilità richiesta, sottolineando le difficoltà economiche e l’aumento del rischio di alimentare mercati illegali. Argomentazioni condivise dalle principali associazioni di categoria. I dubbi legati al regolamento sono legati soprattutto alla complessità della sua implementazione e agli alti costi che ne deriverebbero. Ad esempio, la normativa richiede alle imprese di implementare sistemi di due diligence per garantire che i prodotti importati non siano associati alla deforestazione, un processo che implica la raccolta di informazioni dettagliate sulla provenienza, la valutazione dei rischi e l’adozione di misure di mitigazione. La complessità delle catene di approvvigionamento globali, però, può rendere difficile ottenere e verificare tutte le informazioni necessarie, specialmente per le PMI, che potrebbero avere risorse limitate.
E ancora, la tracciabilità dei prodotti lungo tutta la catena di approvvigionamento è essenziale, ma può essere complicata, soprattutto per i prodotti che attraversano molteplici fasi di lavorazione e diversi intermediari. Garantire l’origine dei prodotti può essere difficoltoso in Paesi con infrastrutture di monitoraggio meno sviluppate e la mancanza di standard globali uniformi può ulteriormente complicare il processo.
Ulteriore questione riguarda l’implementazione delle misure previste dalla normativa che comporta costi significativi, sia per lo sviluppo di sistemi di due diligence e tracciabilità, sia per il loro mantenimento e aggiornamento. Le imprese dovranno investire in formazione del personale, tecnologie avanzate e audit regolari, costi che possono essere particolarmente gravosi per le Pmi agricole. Insomma, il risultato che ne deriva è che, senza adeguati fondi ed aiuti alle imprese, gran parte dell'impianto del piano di transizione green europea rischia di rimanere soltanto un buon proposito ma di assai difficile realizzazione, almeno nei tempi e modi stabiliti dalla Commissione, pena il rischio di desertificare interi settori produttivi europei.