"Donne incinte in carcere? Meglio puntare sulla custodia attenuata (ma costa)"

La Legge Nordio prevede come facoltativo il rinvio della pena. Intervista alla presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano

di Eleonora Perego
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Giustizia, Di Rosa parla con Affari: "Donne incinte in carcere? Non è la miglior strada. Puntare sugli istituti di custodia attenuata (ma costano)"

Le donne incinte potranno andare in carcere”. Una frase d’effetto che sembra aver messo le proprie radici nel nostro ordinamento, visto che l’articolo 12 del Ddl (diventato legge) Nordio rende, tra l'altro, facoltativo l'attuale obbligo di rinvio della pena per le donne in gravidanza e le madri con figli sotto l'anno. Una norma, questa, che ha già fatto storcere il naso a molti, anche sul fronte governativo, con il Guardasigilli che promette la ricerca di soluzioni il più equilibrate possibile; ma che dall’altro lato ha fatto esultare coloro che fin da subito hanno invocato pene più severe per fronteggiare il fenomeno delle “borseggiatrici in gravidanza o con figli piccoli”. Ma basta una semplice norma di legge ad arginare una piaga sociale di siffatta portata? E soprattutto, che portata applicativa può avere in un sistema carcerario come quello italiano? Esistono delle alternative? Affaritaliani.it ne ha parlato con Giovanna Di Rosa, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano.

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Presidente, è cambiata così radicalmente la situazione per gli organi giudicanti?

In realtà anche prima della riforma si è a volte ritenuto di non concedere il differimento, se non nella forma della detenzione domiciliare e dopo aver accertato il domicilio.

Per quali motivi, soprattutto?

Primo tra tutti il pericolo di reiterazione del reato, la mancanza di fissa dimora ma ancora più spesso – e parlo soprattutto delle situazioni di mamme con bambini già nati - gli accertamenti a cui la maternità deve essere sottoposta. Ci sono stati dei casi, per esempio, in cui il bambino portato in carcere dalla donna non era davvero suo figlio, con certificati di nascita di dubbia lettura.

Se una donna incinta viene arrestata va davvero in carcere?

Teoricamente le donne in  gravidanza e quelle con figli piccoli vengono detenute in Istituti di Custodia Attenuata, dove c’è tutto un percorso trattamentale per lo sviluppo della relazione tra madre e figlio, con educatori e supporto sanitario.

Perché teoricamente?

Perché ci sono pochi Istituti di questo tipo sul territorio nazionale, sono solo cinque, e sono strutture che costano. Certamente, però, la strada migliore non è il carcere, bensì questi istituti o ancora meglio le case famiglia.

Questo cambio di rotta è stato dettato soprattutto per far fronte al fenomeno delle borseggiatrici. Le risulta un dato di realtà?

Effettivamente questo è il caso principale che ci è sempre capitato, e che presenta il maggior rischio di reiterazione del reato, di mancanza di fissa dimora, oltre che problemi legati all’accertamento della maternità, come Le dicevo.

Come giudica questa scelta governativa, si tratta di una norma proclama?

Su questo non mi voglio esprimere, perché comporta un’interpretazione politica che non mi appartiene. Quello che le posso dire è che noi, come Tribunale di Sorveglianza di Milano, abbiamo sempre tenuto una linea interpretativa che puntasse alla tutela della maternità e del minore.