Astensionismo, le cause psicologiche: "C'è sfiducia, non solo nella politica"
L'analisi della psicoterapeuta Parsi: "La crisi di credibilità e autorevolezza parte da genitori e insegnanti"
Non rientra tra le mie competenze, e a dire il vero neanche tra i miei maggiori interessi, esercitarmi in analisi politiche. Tuttavia, a proposito del voto amministrativo del 3 e 4 ottobre, e in attesa dell’appendice dei ballottaggi del 17 e 18 ottobre, c’è un aspetto che merita di essere esaminato, in chiave socio-psicologica. Mi riferisco al dato dell’astensione. Complessivamente, al primo turno hanno votato il 54,69% degli aventi diritto, record storico in negativo, più basso di oltre 5 punti del dato delle elezioni del 2010, fino a quest’anno il peggiore della storia repubblicana, quando la percentuale si fermò al 60,07%.
Nelle grandi città (Torino, Milano, Roma e Napoli), poi, il livello di disaffezione è stato tale da far superare al “partito del non voto” la soglia del 50%. Nel nostro sistema gli elettori demandano ai parlamentari (o consiglieri regionali, comunali, etc.) la propria volontà. È un patto basato sulla fiducia: io approvo il tuo programma, mi fido delle tue promesse, sono d’accordo con il loro contenuto; ti do allora mandato, attraverso il voto e la tua elezione, a rappresentarmi e rappresentare quelle istanze nelle sedi competenti.
È, appunto, la democrazia rappresentativa che a tutt’oggi, nonostante la crisi di sistema, che invero non riguarda solo il nostro Paese, resta la migliore forma di governo possibile. Il problema nasce quando il tacito accordo tra elettore ed eletto si infrange. Troppo spesso, per parafrasare Woody Allen, le elezioni si trasformano in un “Prendi i voti e scappa”, con i politici che fanno il contrario di quanto promesso. Non è l’unico elemento di crisi dell’affluenza, in fondo la quota di elettori che esercitano il loro diritto è in calo da decenni, ma non può essere sottovalutato.
Nel momento in cui una “autorità autorevole”, quale dovrebbe essere un politico o un intero partito, viene meno agli impegni, peraltro assunti pubblicamente e in favore di telecamera, a risultare minata dalle basi è l’idea stessa di democrazia rappresentativa. E l’astensione, ovvero il decidere di non decidere, che della democrazia è l’antitesi, si afferma. Soprattutto nelle periferie, dove le speranze di chi affida al voto l’utopia di un cambiamento sono state e sono puntualmente disattese.
Quando si assumono posizioni ambigue, ondivaghe o palesemente contraddittorie, ecco che il rapporto di fiducia risulta compromesso. A esserne impattato non è solo il singolo leader o movimento politico, ma l’intero arco di quella che Marco Pannella (che invece fu uno tra i più coerenti) definiva partitocrazia.
La crisi di credibilità delle autorità autorevoli non si limita, ça va sans dire, all’ambito della politica. Investe, da principio, i genitori e poi gli insegnanti, bisognosi di essere formati a essere guide autorevoli, che è cosa ben diversa da autoritarie (l’autoritarismo è sempre espressione di debolezza). In effetti sia la famiglia sia la scuola, prime due agenzie educative, sono al centro di un progetto di “formazione dei formatori” che la Fondazione Movimento Bambino sta portando avanti con l’Istituto Giannelli del prof. Cosimo Preite a Parabita in provincia di Lecce.
Non che negli uffici e nei luoghi di lavoro le cose vadano meglio. Pensiamo alla ormai canonica distinzione tra leader e capo: il primo stimola con l’esempio, si esercita nell’arte dell’ascolto, prende decisioni pensando sì al profitto, ma anche alle necessità dei suoi collaboratori; il secondo, semplicemente, comanda e impone.
E dunque, oltre alla scuola per manager, oltre alla patente per genitori, oltre ai corsi di formazione dei docenti e degli educatori, andrebbero aperte o riaperte anche le scuole per formare la futura classe dirigente, depurate da zavorre ideologiche (anche se dalla comunista “Scuola delle Frattocchie” passarono molti e assai capaci dirigenti della Prima Repubblica) e aperte al contributo di chiunque abbia a cuore la credibilità della nostra democrazia. La politica nel suo senso autentico ed originario è cura della polis, ovvero dello Stato tutto e di ogni singolo cittadino, e non può essere disgiunta dall’etica.
Tentare di riportarla a quella dimensione è un compito che occorre darsi, e con urgenza. Ripristinare il vincolo di fiducia con i cittadini significa favorirne nuovamente la partecipazione. A meno che il progetto non sia proprio quello di espungere il demos dai processi decisionali e lasciare pochi, eletti o non eletti, “reggenti” a stabilire il destino di tutti. Non penso che il popolo, per quanto anestetizzato, possa restare con le mani in mano davanti a ciò.