Elezioni, la battaglia delle amministrative si gioca a Roma
Ci siamo. Domenica e lunedì si vota per le elezioni amministrative (rinnovo dei consigli comunali e dei sindaci) in 1.349 Comuni italiani, tra cui 6 capoluoghi di Regione (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna e Trieste) e 14 capoluoghi di provincia (Varese, Salerno, Benevento, Caserta, Rimini, Savona, Pordenone, Ravenna, Novara, Cosenza, Grosseto, Carbonia, Latina e Isernia). Si voterà anche per le regionali in Calabria, dopo la morte improvvisa del presidente Iole Santelli, e per le suppletive alla Camera nei collegi uninominali di Siena e Roma. In totale sono chiamati alle urne circa 12 milioni di elettori, ¼ dell’elettorato nazionale. Non è poco. Un banco di prova per nessuno, ma sicuramente un termometro molto utile ad analizzare che aria tira nel Paese. Trascuriamo le Regionali in Calabria dove il risultato pare scontato, considerate le divisioni con cui si presenta il centrosinistra. E concentriamoci anzitutto sulle amministrative.
La legge elettorale è quella dell’elezione diretta del sindaco e del proporzionale con preferenze per il rinnovo dei consigli comunali, con premio di maggioranza al sindaco che al primo turno ottenesse almeno il 50% + 1 dei voti validamente espressi, ovvero, qualora nessuno dei candidati per ciascun Comune raggiungesse il predetto risultato, al candidato che ottenesse più voti al ballottaggio. Il secondo turno si terrà il 17 e 18 ottobre. Il ballottaggio è previsto solo per i Comuni con popolazione superiore a 15 mila abitanti, appena 137 in questa tornata elettorale.
A bocce ferme. Nei capoluoghi di Regione si parte da un 5 a 1 per il centrosinistra, infatti solo Trieste è attualmente amministrata da un sindaco di centrodestra. Sulla carta sembrerebbero ormai segnate le partite di Milano, Bologna e Napoli, dove sono favoriti i candidati espressione del centrosinistra, mentre la partita è apertissima a Roma e a Torino. Trieste e Torino potrebbero rivelare qualche sorpresa per entrambi gli schieramenti.
Perché la coalizione di centrodestra possa dire di aver vinto le elezioni è necessario confermare Trieste, vincere a Torino e – soprattutto – vincere a Roma.
Il match point si gioca al Colosseo, dove ai nastri di partenza il centrosinistra corre sostanzialmente con tre candidati – Roberto Gualtieri per il Pd, Virginia Raggi per il M5S e Carlo Calenda per una sua lista civica – mentre il centrodestra con il candidato unitario Enrico Michetti. L’unica cosa certa qui è che si andrà al ballottaggio. Il punto è vedere chi sfiderà Michetti il 17 e 18 ottobre e quali giochi potrebbero aprirsi nei quindici giorni che precedono il secondo turno. Ammettiamo che al ballottaggio ci vada il sindaco uscente Raggi, cosa faranno Gualtieri e Calenda? È ragionevole pensare che l’ex ministro dell’economia del governo Conte II, espressione del Pd romano e dell’alleanza tra Pd e M5S, vada in sostegno del sindaco pentastellato uscente (non per simpatia ma per accordo politico tra Letta e Conte), mentre non è affatto ragionevole pensare che lo faccia Calenda, da sempre contrario – sin dai tempi del governo giallorosso – ad alleanze coi grillini, peggio ancora adesso che sono “contiani”. Se invece al secondo turno ci andasse proprio Calenda, vediamo molto difficile che il Pd vada in sostegno di uno che dal Pd ci è uscito sbattendo la porta dopo l’accordo di governo del settembre 2019 col M5S, addirittura determinante in questo caso per la sconfitta di Gualtieri al primo turno. Insomma, il dato di fatto saliente è quello che il Pd è già pronto a pugnalare Calenda se questo andasse al ballottaggio. La Raggi, dal canto suo, che in campagna elettorale ha come bersaglio preferito proprio Gualtieri, forse potrebbe sostenere Calenda al secondo turno contro Michetti, ma l’elettorato grillino è molto più fluido rispetto a tutti gli altri elettorati, quindi meno “gestibile”. Ultima ipotesi, Gualtieri contro Michetti. È l’ipotesi che maggiormente converrebbe al centrodestra, visto che sarebbe davvero molto complicato sia per Calenda che per Raggi sostenere nelle piazze quel Gualtieri – espressione del precedente governo giallorosso - criticato aspramente sia in campagna elettorale sia quando era ministro dell’economia. Conte e Letta spingerebbero sicuramente sull’acceleratore a sostegno dell’ex ministro dell’economia, ma Raggi e Calenda farebbero probabilmente di testa loro, con Calenda che si sposterebbe più facilmente verso Michetti. Questo il senso dell’intervista di Giorgetti (che nessuno ha capito).
In tutti e tre i casi il candidato di centrodestra potrebbe anche farcela. Se Roma passasse al centrodestra, con una parallela vittoria a Torino e conferma a Trieste, il risultato finale sarebbe di 3 a 3 con base di partenza di 5 a 1 per il centrosinistra. A quel punto Salvini uscirebbe dall’angolo e tornerebbe ad essere il punto gravitazionale della coalizione, magari spostandosi al centro – prima che quello spazio lo occupino Berlusconi e Renzi - in vista delle elezioni politiche, da non escludere già nel 2022. Sono solo ipotesi. Tutte le elezioni presentano delle incognite, anche dove il risultato sembra scontato, ed è questo in fondo il bello della democrazia.
Nodo elezioni suppletive alla Camera. Nel collegio uninominale di Roma il centrodestra corre unito con un unico listone a sostegno di Pasquale Calzetta, funzionario del ministero della giustizia, mentre il centrosinistra esprime il giovane segretario del Pd romano Andrea Casu, sostenuto dal solo simbolo Dem ma politicamente anche dal M5S. L’incognita Luca Palamara – che corre con una sua lista civica – potrebbe presentare delle sorprese, non è escluso infatti che possa togliere voti tanto al centrodestra quanto al centrosinistra. Nel collegio di Siena parte invece favoritissimo il centrosinistra, dove corre il segretario Dem Enrico Letta – sostenuto da Pd, M5S, Articolo 1 e Italia Viva - ma senza nessun simbolo di partito, neppure di quello di cui è segretario, per la vergogna – probabilmente - di presentare la faccia del Pd nel feudo della banca Monte Paschi di Siena, dopo gli scandali che hanno investito l’istituto di credito e il suo partito di riferimento. In entrambi i collegi uninominali vince in un turno unico chi ottiene più voti. La battaglia di Siena nasconde tuttavia delle incognite, visto che si presentano anche altri due candidati di sinistra, Marco Rizzo per il Pci ed Elena Golini di Potere al popolo. Il centrodestra corre unito con l’imprenditore vinicolo Tommaso Marrocchesi Marzi, quello “del Chianti”, spinto soprattutto dalla Lega. Se Letta non vincesse a Siena è ovvio che si dimetterebbe il giorno dopo da segretario e nel Pd si aprirebbe l’ennesima crisi, col centrodestra che a quel punto potrebbe legittimamente gridare al trionfo. Ma la vediamo davvero difficile, soprattutto per quella fitta rete di interessi che il Pd ha intessuto in Toscana in decenni e decenni di governo.