Elezioni Pd, festeggiano la corrente di Orlando e gli ex renziani. La mappa

Se Gualtieri batte Michetti a Roma, per Bettini sarà una vittoria di Pirro. Letta si impone grazie alla linea filo-Draghi

di Paola Alagia
Politica
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"Non ho lasciato la mia vita precedente per guidarvi a una sconfitta". E poi ancora: “Il primo test saranno le amministrative, ma il nostro obiettivo sono le politiche del 2023 per essere l'alternativa alla destra di Meloni e Salvini".  Sono state queste le parole d’ordine con cui Enrico Letta è tornato al Nazareno dopo una lunga assenza. Dichiarazioni che fanno il paio inoltre con il suo proposito, candidandosi alle suppletive per il collegio di Siena, di “trarne le conseguenze” in caso di mancata elezione. Archiviato il voto – anche se è tutta aperta la partita dei ballottaggi soprattutto a Roma e Torino – si può dire che il segretario dem il primo obiettivo l’ha centrato. Quanto a Siena, invece, il problema non si è posto, avendo Letta conquistato il seggio in Parlamento.

Ma qual è il bilancio rispetto al rapporto con le correnti interne (il numero uno del Nazareno ha sin dal suo insediamento ingaggiato la sua battaglia, condannando l’idea di un partito come una “torre di Babele”)? Anche su questo, in realtà, la fotografia che restituisce il voto delle amministrative è di “una sostanziale unità del partito”, per usare le parole di un’autorevole fonte dem. Da qui a poter concludere, però, che l’inquilino del Nazareno abbia conquistato quella “verità dei rapporti” che pure si era prefissato ce ne passa. Anche perché è abbastanza fisiologico che quando una formazione politica vince si ricompatti.

Comunque, chi ha vinto e chi ha perso tra le diverse anime che popolano il Pd? “Non ci sono sconfitte per le correnti più strutturate del partito e cioè Base riformista (gli ex renziani) e l’aera Dems che fa capo al ministro Andrea Orlando – è l’analisi che fa con Affaritaliani.it un big del Pd dietro garanzia di anonimato -. Lì dove le sfide si sono chiuse queste correnti hanno tra gli eletti i propri riferimenti sul territorio”. In generale, su tutta la partita di Giuseppe Sala a Milano la posizione del Pd è stata “unitaria” sin dall’inizio, “a Torino, per esempio, il candidato al ballottaggio è sostenuto da Base riformista. Stesso clima di unità a Napoli con Gaetano Manfredi. L’unica macchia, casomai, è stato il caso Bologna quando un pezzo del Pd che fa capo alla corrente di Luca Lotti e Lorenzo Guerini fu escluso dalla lista”.

A conti fatti, tuttavia, Area dem che fa capo a Dario Franceschini è sembrata abbastanza defilata in questa tornata elettorale. “E’ solo meno strutturata, tutto qui. La verità – continua l'eponente piddino – è che, al contrario della Lega, nel Pd c’è stata piena consapevolezza della crisi pandemica ed economica, due fattori che hanno prodotto una linea di visione unica”.

Il fattore Draghi, poi, ha fatto il resto. A tal proposito c’è chi tra le fila democratiche ricorda ad Affari come già Zingaretti all’epoca della formazione del Governo avesse lavorato “per cercare un equilibrio con i ministri delle tre correnti più rappresentative e cioè Base riformista, Dems e Area dem: Lorenzo Guerini, Andrea Orlando e Dario Franceschini. Tutti coerenti con l’impostazione Draghi, confermata poi dall’arrivo di Letta in segreteria”. Un’impostazione che però non ha mai convinto Goffredo Bettini. Al padre del Modello Roma non piace l’identificazione tra il suo partito e questo esecutivo. “Ecco, il pensiero di Bettini, che poi non ha una sua corrente, è quello che esce sconfitto”. Anche da queste amministrative? “Non gli rimane che sperare in una vittoria di Roberto Gualtieri a Roma. Tutti pensiamo che sarà così. Dopodiché, però, Gualtieri è figlio della colonna dalemiana romana, mentre Goffredo era il deus ex machina di Veltroni”.

Resta, tuttavia il campo largo e l’alleanza strutturale tra Partito democratico e Movimento cinque stelle, di cui lo storico dirigente dem è sponsor. Tutavia, è ancora presto per sapere se i fatti gli daranno ragione. Anche Letta punta ad una aggregazione ampia e ad andare avanti sulla strada del dialogo con Giuseppe Conte. Qui, tuttavia, la grande variabile è proprio il M5s, uscito con le ossa rotte da questa competizione elettorale o, nel migliore dei casi, come stampella del Pd: si accontenteranno di un ruolo subalterno o ribalteranno il tavolo? Ma questo è un capitolo che si scriverà a partire dalle prossime settimane.