Femminile vietato? Dietrofront Lega: "Non rispetta la linea del partito"

Sconfessato il senatore Manfredi Potenti

redazione ​​​
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Manfredi Potenti

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I vertici del partito, dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, non condividono quanto riportato nel Ddl Potenti


La proposta di legge del senatore leghista Manfredi Potenti che prevedeva la proibizione dei titoli al femminile all'interno degli atti ufficiali a favore del solo maschile non ci sarà. Dalla Lega fanno sapere  che si tratta di un'iniziativa del tutto personale del senatore toscano che  ha fatto vedere in anteprima alle agenzie di stampa la bozza degli del nuovo ddl. Tra gli articoli si prevedevano delle ammende pecuniarie da 100 a 5000 euro per chi avesse violato la regola del "maschile first" e avesse osato scrivere "avvocata".

 

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La proposta in questione si è dimostrata divisiva persino all'interno della stessa Lega. I vertici del partito, dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, non condividono quanto riportato nel Ddl Potenti: "Non rispetta la nostra linea". E ne hanno chiesto il ritiro immediato. 

La replica da parte del mondo politico e culturale era stata immediata e la polemica era montata anche sui social: la senatrice e linguista Aurora Floridia (Avs) si è fatta promotrice di una  di una lettera inviata al presidente del Senato Ignazio La Russa e firmata da 76 senatrici e senatori, in cui si rivendica la libertà e il diritto a essere chiamate con il genere femminile: "Questa proposta rappresenta un grave passo indietro nella lunga e faticosa lotta per la parità di genere — ha commentato —. Il linguaggio è un potente strumento di inclusione e riconoscimento delle identità. Cancellare il femminile significa negare visibilità e dignità alle donne che ricoprono ruoli di responsabilità e prestigio nella nostra società".

Il titolo del disegno di legge del senatore Potenti 'Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere' manifestava fin da subito il suo obiettivo, ovvero, "difendere" la lingua da quella che viene considerata la deriva del politicamente corretto (senza nominarlo). Al fine di "preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici dai tentativi “simbolici” di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo".

Di qui il "divieto del genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge".