Giustizia, stop alle porti girevoli. Giudici e politici: ecco che cosa cambia
La riforma Cartabia, che modifica le regole sulla candidabilità dei magistrati, non è retroattiva. Ecco che cosa sarebbe successo se fosse stata già in vigore
Riforma Cartabia, le norme per sciogliere il nodo delle porte girevoli tra politica e magistratura
Non è più come ai tempi di Antonio di Pietro, quando i magistrati in politica andavano di moda, ma comunque, seppure in numero minore rispetto al passato, sono diversi anche oggi quelli che hanno appeso la toga e non hanno resistito alla tentazione dei Palazzi, portando alla ribalta il nodo delle cosiddette porte girevoli. Una questione che prima Bonafede e adesso il ministro Marta Cartabia hanno preso di petto.
La riforma da poco licenziata in Cdm e già incardinata alla Camera, infatti, affronta proprio la vexata quaestio. Se i subemendamenti non ne stravolgeranno la ratio, quindi, il ping-pong dalla magistratura alla politica e viceversa non sarà più consentito. Tanto per cominciare, stando alla bozza, i magistrati che hanno ricoperto cariche elettive di qualunque tipo (parlamentare, europarlamentare, governatore, sindaco, consigliere comunale o regionale) ma anche incarichi di governo, terminato il mandato, non potranno più tornare a svolgere funzioni giurisdizionali. Tre anni di stop prima di tornare a svolgere funzioni giurisdizionali, poi, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che hanno svolto incarichi apicali nei ministeri, nelle Regioni o nei Comuni (dai capigabinetto ai capidipartimento, per intenderci).
E per i magistrati che volessero candidarsi? Anche su questo la bozza uscita dal Cdm parla chiaro: niente da fare “se prestano servizio, o lo hanno prestato nei tre anni precedenti la data di accettazione della candidatura, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nella regione nella quale è inclusa la circoscrizione elettorale. Essi - si legge ancora - non sono, altresì, eleggibili alla carica di sindaco o consigliere comunale se prestano servizio, o lo hanno prestato nei tre anni precedenti la data di accettazione della candidatura, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della provincia in cui è compreso il comune, o in province limitrofe”.
Non solo, ma se la riforma ricevesse il disco verde in Parlamento, passerebbe inoltre il divieto di esercitare funzioni di giudice o pm mentre si ricoprono cariche elettive e governative, anche in un territorio diverso.
Riforma Cartabia, con le norme già in vigore nessun caso Maresca
Nessuna di queste norme, naturalmente, è retroattiva. Ma se fossero già in vigore da tempo, lo spaccato politico attuale sarebbe ben diverso. Tanto per cominciare non ci sarebbe stato nessun caso Catello Maresca: candidato a sindaco di Napoli per il centrodestra, infatti, oggi il magistrato è sia consigliere comunale e sia giudice di corte d’Appello, a Campobasso. Una vicenda che ha spaccato il Consiglio superiore della magistratura e sulla quale già a dicembre scorso, durante la festa di Atreju, era intervenuta la stessa ministra Cartabia, anticipando che la sua proposta alla maggioranza sarebbe andata proprio nella direzione di impedire in futuro casi analoghi.
Da Matone a De Magistris e Emiliano, gli impedimenti con le nuove norme
Rimanendo nel campo delle ultime amministrative, ma spostandoci da Napoli a Roma, va menzionata anche Simonetta Matone: si mise in aspettativa dopo la discesa in campo per il centrodestra in ticket con Enrico Michetti e poi annunciò le sue dimissioni. Comunque, se questa riforma fosse già stata in vigore, per lei sarebbe scattato un impedimento territoriale, visto che l’ultima posizione professionale occupata è stata quella di sostituto procuratore generale della Corte di Appello di Roma. Stessa sorte che, tra l’altro, sarebbe toccata a Michele Emiliano. L’attuale governatore della Puglia (al secondo mandato) è stato due volte sindaco di Bari, dal 2004 al 2014. Peccato che fino al 2003 era pure, sempre nel capoluogo pugliese, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia. Ecco perché, è evidente, una sua candidatura a primo cittadino avrebbe trovato le porte sbarrate con norme come quelle ora in discussione.
Passando dal Tavoliere all’Europarlamento, un altro caso illustre riguarda Luigi De Magistris perché all’epoca della sua elezione a Bruxelles tra le fila dell’Italia dei valori fu candidato nel collegio Sud Italia: era il 2009 e, seppure in aspettativa, aveva svolto il suo lavoro di magistrato a Catanzaro. Pure per lui, quindi, si sarebbe presentato un ostacolo di tipo territoriale. Nessun impedimento invece per i successivi due mandati da sindaco di Napoli e anche per la recente candidatura alla guida della Regione Calabria, dal momento che l’ex magistrato proprio nell’ottobre del 2009 si era dimesso. Tant’è che ha gioco facile adesso ad esprimere il suo plauso alla riforma: "Si va complessivamente nella giusta direzione – ha detto dopo il via libera del Cdm all’Adnkronos -. Del resto, abbiamo assistito per molti anni a una serie di casi anche eclatanti di ‘porte girevoli’, tant’è che i magistrati che per motivi diversi hanno scelto la politica e poi si sono dimessi, si contano sulle dita di una mano, forse non arrivano nemmeno a cinque, che io sappia siamo io e Di Pietro e non so se ce ne sono altri".
E sull’attuale Parlamento come avrebbero pesato tali norme? Di magistrati in questa legislatura se ne contano due, escludendo i senatori Piero Grasso, che optò per il prepensionamento quando si candidò col Pd, e Giacomo Caliendo, eletto nel 2008 con Forza Italia (anche se venne a stretto giro nominato sottosegretario alla Giustizia nel governo Berlusconi), poi ancora nel 2013 e infine nel 2018, ma dimessosi da magistrato all’inizio del 2010.
Tra i togati nelle aule parlamentari dunque resta Cosimo Ferri, eletto nel 2018 alla Camera col Partito democratico e poi passato a Italia viva. Ma già attivo in politica fin dal 2013, quando fu nominato sottosegretario nei governi Letta, Renzi e Gentiloni. Con le norme Cartabia, avrebbe potuto intraprendere il suo cursus politico perché è in aspettativa dal 3 maggio di nove anni fa. Rimane infine la deputata Giusi Bartolozzi, eletta con Forza Italia e ora nel gruppo Misto. Dal momento che è stata eletta nella circoscrizione Sicilia 1 e che dal 2013 è alla Corte d’Appello di Roma, la riforma non ne avrebbe ostacolato l’approdo in politica. Ma soprattutto perché pure lei è in aspettattiva sin dallo sbarco in Parlamento.
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