Governo, M5s verso l'astensione: ultima mediazione sul dl Aiuti con Draghi

I 5 Stelle verso l'astensione al Senato. Ipotesi di incontro a Palazzo Chigi tra Conte e Draghi. Rischio crisi di governo concreto

Giuseppe Conte e Mario Draghi
Politica
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Governo, M5s verso l'astensione sul decreto Aiuti in Senato

Che aria tira? Rottura o pace? Contattata telefonicamente, una fonte di prima mano vicinissima a Conte, risponde in modo laconico: “Per ora astensione”. Quindi i 5 Stelle non voteranno la fiducia al decreto Aiuti in Senato “ma non usciranno dal governo”, come conferma la stessa fonte. Intanto si rincorrono le indiscrezioni ed entro sera dovrebbe esserci un incontro a Palazzo Chigi tra il leader dei 5 Stelle Giuseppe

M5s, il Tribunale di Napoli rigetta il ricorso degli attivisti

Il Tribunale di Napoli ha rigettato il ricorso degli attivisti iscritti al M5s contro le votazioni sulle modifiche apportate allo Statuto che hanno preceduto l'elezione di Giuseppe Conte alla carica di presidente.

Conte e il premier Mario Draghi per tentare una ultima mediazione.

L’altra ipotesi circolata – sul voto di domani in Senato – è quella che i 5 Stelle escano dall’Aula senza esprimere l’astensione. Proprio di questo si è discusso stamane nel Consiglio Nazionale dei pentastellati durato 5 ore. E che differenza c’è tra uscire dall’Aula e astenersi?

Astensione al Senato vuol dire sfiducia, uscire dall'aula è una via di mezzo che può salvare capre e cavoli. Ma bisogna vedere come la prenderanno Draghi e gli altri partiti della maggioranza se i 5 Stelle usciranno dall'Aula senza lasciare il governo. Il rischio che la maggioranza vada in frantumi e il premier salga al Quirinale per rassegnare le proprie dimissioni è concreto.

 

Governo, contatto Draghi-Conte

Il presidente del Consiglio Mario Draghi e il leader M5s Giuseppe Conte si sono sentiti al telefono. E' quanto si apprende da fonti M5s. Il Consiglio Nazionale pentastellato si è riunito di nuovo, prima dell'assemblea congiunta dei parlamentari.

Governo, cardinal Parolin: no a divisioni necessaria stabilità

"Credo che nello scenario attuale più un governo è stabile più riuscirà a fare fronte alle tante sfide che si pongono e che sono davvero epocali, che nessuno poteva immaginare. Anche questa guerra nessuno poteva immaginarla ma è successo. Dal conflitto poteva derivare una crisi generalizzata, alimentare o energetica, quindi evidentemente quando c'è qualcuno che ha in mano le redini della situazione, pur con tutte le difficoltà che ci sono, perché nessuno ha la bacchetta magica", i problemi si affrontano, la stabilità di governo "facilita certamente".

Lo dice il segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, interpellato dai giornalisti. Un appello alla responsabilità? "Ma certo - risponde - dobbiamo metterci tutti a lavorare insieme. E non dividerci".

Governo, Letta avverte: se cade c'è solo il voto

 

Andare avanti, al di la' dei legittimi distinguo, per portare a compimento l'agenda sociale che, con l'incontro fra governo e sindacati di ieri, acquista finalmente una forma. Enrico Letta lancia il suo appello ai riottosi alleati di governo, Giuseppe Conte e Matteo Salvini, perche' facciano rientrare minacce e ultimatum e sostengano l'esecutivo in questa fase, a cominciare dal tornante del Dl Aiuti, domani in Aula al Senato. Il segretario del Pd lo fa mentre e' ancora in corso il Consiglio Nazionale del M5s, con la linea dello 'strappo' dei Cinque Stelle che sembra farsi sempre piu' concreta.

Un appello lanciato dalla posizione di leader di un partito "granitico", come lo definisce, pronto a caricarsi sulle spalle la responsabilita' di dare risposte a quei 4,3 milioni di lavoratori che percepiscono meno di dieci euro l'ora e attendono una risposta sul salario minimo. O a quegli ottocentomila studenti nati in Italia che attendono la legge sullo Ius Scholae. "La giornata di ieri e' stata una giornata importante perche' si e' verificata una possibilita' sull'agenda sociale", dice Letta ai parlamentari riuniti a Montecitorio, in Sala della Regina. "La direttiva europea consente una applicazione differenziata e il nostro paese puo' applicare quello che c'e' sul salario minimo.

L'Italia e' uno dei paesi che non ha salario minimo, 4 milioni di lavoratori lavorano con salari inferiori ai nove euro l'ora. Questa e' una grande opportunita' per fare dell'agenda sociale dei prossimi mesi qualcosa di molto importante soprattutto per i giovani". Stesso discorso vale per la legge sulla cittadinanza: "Ottocentomila ragazzi nel nostro Paese stanno aspettando da tempo un provvedimento nelle mani del nostro parlamento, lo ius scholae. Una scelta di questo genere sarebbe una risposta di grande dignita' delle istituzioni davanti ad attese importanti. Faremo le mediazioni necessarie per ottenere la votazione di questo diritto".

Tutto cio', sempre che il governo vada avanti. "Se il governo cadra' non saremo in grado di dare risposte a milioni di lavoratori e di giovani che aspettano risposte". Di qui l'appello: "Mi sento di dirlo con grande forza a chi chiede una svolta: noi questa svolta l'abbiamo vista nella giornata di ieri, una svolta sociale per fare si' che gli ultimi mesi del governo siano quelli in cui si risponde alla crisi che stiamo vivendo. E' il momento non di frenare ma di accelerare, non di parcheggiare, ma di essere in grado di finire la legislatura".

Insomma, l'agenda dei prossimi nove mesi e', di fatto, pronta, bisogna solo lavorare e andare avanti con questo governo. L'alternativa e' quella di fare precipitare il Paese alle elezioni. Non e' una minaccia, spiega Letta: e' un fatto. "Non e' una nostra ripicca il fatto di dire che se cade il governo si va al voto. E' nella logica delle cose visto quel che Salvini e Berlusconi hanno detto". Parole, quelle del segretario, indirizzate a Giuseppe Conte, un po' signor Malaussene e un po' Gavrilo Princip. 

Letta cita il personaggio di Daniel Pennac, capro espiatorio di professione, per dire che "la logica del capro espiatorio va tolta dal tavolo. Non possiamo metterci alla finestra e fare campagna elettorale da oggi". Per questo Letta chiede di evitare scelte che potrebbero trasformare "distinguo legittimi" nella "pistola di Sarajevo", quella impugnata da Gavrilo Princip, appunto, per assassinare l'arciduca Francesco Ferdinando e dare il via, a sua insaputa, alla Seconda Guerra Mondiale.