Governo-Quirinale, in tilt la stabilità garantita dall’asse Draghi-Mattarella
Draghi premier ha di fatto commissariato la politica. Ora...
La “Questione Quirinale” diventa anche la “Questione Palazzo Chigi”
Capito il gioco dei partiti che gli chiedevano di rimanere al Colle solo per i loro tatticismi e per le loro beghe interne, schietto e diretto come sempre, il presidente della Repubblica Mattarella ha negato ogni possibilità di bis. Così, in un sol colpo, la “questione Quirinale” diventa anche la “questione Palazzo Chigi” imponendo ai partiti di uscire allo scoperto assumendosi responsabilità fin qui evitate per incapacità e per interessi di bottega.
In questi ultimi nove mesi, con Draghi premier, la politica è entrata in uno stato di forte personalizzazione e di concentrazione dei poteri, di fatto un commissariamento. Ma Draghi non è la causa di questo stato di cose bensì una conseguenza della crisi dei partiti e delle istituzioni a tutti i livelli, fino a quello locale, come dimostrato anche con l’astensionismo record nelle ultime elezioni amministrative dell’ottobre 2021.
Messi come eravamo messi dopo la crisi dell’esecutivo Conte2 non ci voleva molto a capire che Draghi, per qualità ed esperienze personali e per autorevolezza internazionale, non solo veniva visto dalle forze politiche come l’ancora di salvezza del sistema e quindi anche come l’unica possibilità per partiti, leader e apparati di non sprofondare, ma veniva inteso anche dagli italiani come il “salvatore della patria”, peraltro come già in passato era successo con altri, dal Duce in su.
Sono, evidentemente, situazioni di “eccezione” e in quanto tali destinate a non durare o a finire male. Draghi, in sostanza, mantiene la sua leadership ma ha già “esaurito” la sua missione quale premier del governo di unità nazionale incentrata su due grandi questioni: avere dall’Europa l’ok per il PNRR impostandone la gestione operativa con un piano di riforme pluriennali comunque tutte da fare e affrontare la pandemia con una campagna vaccinale adeguata, oggi fra le più riuscite al mondo, che comunque non chiude lo stato di emergenza nel Paese.
Tradotto, significa che neppure Draghi “da solo” basta per consentire al Paese di uscire dal pantano e prendere il largo e che il governo, proprio per la inconsistenza dei partiti, al di là degli annunci amplificati dal can-can mediatico, rischia di esaurire la sua spinta propulsiva. E’ un fatto che il binomio Draghi-Mattarella ha evitato l’affondamento del vacillante “barcone Italia”, con il premier che ha dato stabilità al sistema e con l’inquilino del Colle che ha fatto da “stimolo” e da “garante”.
Adesso, con la “questione Quirinale” che diventa anche la “Questione Palazzo Chigi”, questo precario equilibro può saltare, mandando in tilt la stabilità garantita dall’asse Draghi-Mattarella. Così, a circa due mesi dall’avvio delle elezioni dell’inquilino del Colle e nella mischia partitica in cui impazza il “toto Quirinale”, questa scelta di Mattarella di tirarsi fuori, ancor più della questione pandemia comunque tutt’ora aperta, fa saltare il quadro rimescolando tutti i giochi nei partiti e fra i partiti perché avvicina di molto la possibilità che Draghi si trasferisca da Palazzo Chigi al Quirinale: di fatto la fine del governo di unità nazionale e poi fors’anche della legislatura, con l’imbocco verso le elezioni politiche anticipate.
Manna dal cielo per la Meloni e il suo FdI; incidente di percorso per la Lega in perenne confusione scossa dalla diarchia fra Salvini e Giorgetti; un ko annunciato per il M5S sicuramente mazziato alle urne; un salto nel buio per il PD di Letta che rischia di finire come Don Falcuccio, nudo e crudo. A questo punto, se davvero Mattarella non accetta il bis e al Colle sale davvero Draghi (comunque, soluzione ottimale per un nuovo settennato di autorevolezza e stabilità con un presidente scelto da tutti), è comunque pensabile salvare la legislatura attraverso un “piano B” con a Palazzo Chigi, pro tempore, un uomo (o una donna) longa manus dell’attuale capo del governo?
Nella politica italiana tutto, o quasi, è possibile. Il rischio è quello di metterci una pezza, andando poi comunque alle urne, con il Paese a brandelli. Tanto vale, allora, prendere il toro per le corna dando la parola agli italiani. Comunque vada, adesso tocca ai partiti dimostrare di essere tornati in sella, alla guida: con Draghi premier sono stati fin qui solo gregari, addirittura compiacendosene. Proseguendo così, continuerebbero nel loro declino, nel ruolo di suppellettile, o di zavorra.