Green pass, fra imposizioni e proteste l’Italia rischia. Attenti al green caos

No Green Pass, protesta pacifica va colta come segnale di disponibilità al dialogo

L'opinione di Massimo Falcioni
(foto Lapresse)
Politica
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Dunque, la prima giornata di protesta dei “No Green Pass” è filata via liscia, pacifica, senza incidenti temuti o sperati. I primi a dolersene, per il mancato caos, sono proprio quelli che su fronti opposti, nel governo e fuori, cercano il casus belli per trarne giovamento politico ed elettorale e chiudere la questione con le buone o con le cattive come se la bega fosse solo sanitaria e riguardasse quattro gatti esagitati e non oltre quattro milioni di lavoratori e più di otto milioni di non vaccinati, italiani a pieno titolo che incrociano le braccia non per gettare benzina sul fuoco ma semplicemente per poter lavorare e poter decidere con la propria testa. La protesta pacifica del 15 ottobre va colta come segnale di disponibilità al dialogo: a questi lavoratori l’unica risposta da dare non è quella del “bastone”, come dicono irresponsabilmente anche tanti esponenti di governo e di partito, specie a sinistra.

Si fa finta di non sapere che la vera questione non è il “Green pass” con il tampone che i lavoratori non vogliono (giustamente) pagare, ma quella della vaccinazione anti Covid. Vaccinazione che, altrettanto irresponsabilmente, nel governo e non solo lì, vorrebbero che fosse obbligatoria per tutti dimenticando o facendo finta di dimenticare che in Italia “non vaccinarsi” è un diritto costituzionalmente garantito, tanto meno è un illecito come ha paventato maldestramente il segretario del Pd Letta, che ha affermato che il tampone gratuito va rifiutato perchè sarebbe come il condono per gli evasori fiscali. Le regole e le leggi democratiche vanno fatte rispettare ma in questo caso non esiste dogma e si dovrà pur spiegare perché siamo l’unica democrazia al mondo che chiede un lasciapassare sanitario, il Green Pass, per poter accedere al posto di lavoro. La protesta nei porti non ha fermato il Paese è questo è bene.

Ma la protesta c’è ed è reale. Oltre i portuali e i camionisti riguarda cittadini e lavoratori “in carne e ossa” e non provocatori di bande nere, ed è l’iceberg di un malessere più generale che cova nel corpo profondo del Paese, compresi i cittadini vaccinati. Permane un clima di tensione frutto di una deleteria pratica di demonizzazione reciproca che caratterizza la politica italiana dalla fine della Prima Repubblica.

I partiti, nessuno escluso, in mancanza di base ideologica e di proposte politiche “sparano” sull’avversario e, come ha fatto in particolare il M5S, sul sistema dei partiti (di fatto marcato Pd) e sulle istituzioni, in un infinito gioco dell’oca. Con lo slogan del “cambiare tutto e subito” tutto è rimasto come prima e peggio di prima e adesso c’è chi, puntando sulla pandemia e sulle sue conseguenze sanitarie sociali ed economiche, vuole imporre ovunque un “nuovo ordine” illusoriamente “pro pianeta” facendo tornare indietro di decenni l’orologio della storia.

Queste ultime proteste di piazze pacifiche vanno colte come risorsa democratica e spetta al governo comprendere che il disagio degli italiani è reale e oggi più che mai serve una gestione di tutta la questione (non solo sanitaria) meno tecnico-burocratica-militare e più basata sul dialogo e sul ragionamento sensibilizzando sì verso la vaccinazione ma aprendo anche a nuove possibilità, come le cure domiciliari e non solo. La linea del tirare diritto comunque, certi di avere la verità in tasca, rischia di trasformare la bega Green Pass in “green caos” discriminando e dividendo gli italiani, impedendo al Paese di ripartire.