Emiliano e gli appalti di "famiglia", ecco quando l'uso di denaro pubblico è una questione di "buone maniere" 

Ciò che imbarazza di più è la legge che prevede che la Pa può affidare direttamente appalti fino ad un importo di € 150.000,00 senza chiedere neppure preventivi ad altre imprese... Commento

di Marco Palieri*
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Michele Emiliano
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Emiliano e gli appalti di "famiglia", quando si guarda il dito e non la luna. Commento 

 

Uno delle notizie di tendenza sui media, dapprima locali e poi anche nazionali, riguarda alcuni appalti di fornitura per ufficio affidati dalla Regione Puglia ad una società che è di proprietà del fratello e della sorella del Presidente della stessa Regione, Michele Emiliano.

Lo stesso Presidente Emiliano, dicendosi sorpreso dell’accaduto, ha criticato tali affidamenti ritenendoli “inopportuni”, anche se regolari, ed ha stigmatizzato l’operato dei funzionari regionali e persino degli stessi fratelli, che, a suo dire, non avrebbero dovuto partecipare all’appalto. Anche gli avversari politici, pur cercando di enfatizzare e strumentalizzare la notizia, non hanno potuto evitare di precisare che gli affidamenti sembravano regolari, ma comunque non andavano fatti per ragioni di opportunità, di etica, di buon senso, ecc. Mi sembra che, così facendo, additando la vicenda e insistendo sul fatto che gli appalti in contestazione erano regolari ma inopportuni, ci si stia concentrando sul dito e non sulla luna.

La vera questione (la luna) non è tanto il singolo appalto in parola (il dito), per quanto imbarazzante sia stato, quanto il fatto che una cosa del genere possa definirsi “regolare” visto che, in effetti, la legge lo consente, e che, quindi, in casi come questo, si possa fare affidamento solo sulla prudenza e sul senso di opportunità dei soggetti interessati, come se il corretto utilizzo del danaro pubblico fosse una questione di buone maniere.

Infatti, la vigente normativa in materia di appalti pubblici, al fine di rendere più spedite le procedure, prevede la possibilità di affidamento diretto di appalti anche per importi non marginali (art. 50 d.lgs. n. 36 del 2023).

In caso di appalti di lavori, la legge prevede che la Pubblica Amministrazione può affidare direttamente, senza consultare altri operatori, appalti fino ad un importo di € 150.000,00 e appalti di fornitura e servizi fino ad un importo di € 140.000,00. In questi casi, cioè, il funzionario pubblico, senza neppure chiedere preventivi ad altre imprese, può scegliere autonomamente un’impresa ed affidarle direttamente l’appalto. Per appalti di valore superiore (ma comunque inferiori alla c.d. “soglia comunitaria”) l’Amministrazione potrà ricorrere ad una “procedura negoziata” con la partecipazione di diversi operatori economici che, tuttavia, potranno partecipare solo perché sono stati scelti e, quindi, invitati dalla stessa Amministrazione appaltante. Solo per appalti di valore superiore alla c.d. “soglia comunitaria” diventa obbligatorio procedere con una gara aperta alla quale tutte le imprese possono partecipare liberamente, presentando un’offerta.

Nei Comuni, specie quelli più piccoli, il problema risulta evidente. Per appalti di piccolo importo, il singolo funzionario, se onesto e preparato, affiderà l’appalto all’impresa migliore, scelta senza condizionamenti e per la convenienza dell’Ente. Ma si potrebbe essere anche meno fortunati, e in questi casi l’appalto verrà affidato all’impresa più “vicina” al Sindaco, all’Assessore oppure allo stesso funzionario. Per le procedure negoziate, in cui le imprese partecipanti vengono scelte dalla stessa Amministrazione appaltante, non è difficile immaginare delle combine, in cui, a turno, tutte le imprese invitate presentano un’offerta fuori mercato tranne un’impresa che presenta un’offerta a prezzi più ragionevoli ma che tenga conto dei maggiori costi dell’operazione (la tangente da versare). Probabilmente, un ripensamento da parte del legislatore sarebbe (questo, sì) davvero opportuno.

*Avvocato amministrativista e dottore di ricerca in diritto pubblico dell’economia.

 

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