Il nanismo delle nostre imprese è un modello perdente (ditelo anche a Meloni)

Intanto il Governo pensa ai centri per immigrati in Albania

di Simone Rosti
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Politica

Il Fondo Monetario Internazionale ha riportato l’Italia in fondo alla classifica europea nelle previsioni del Pil dell’Italia per il 2024 e 2025

 

Finito l’effetto positivo post covid (eravamo quelli messi peggio nel pre covid), finito l’effetto alone di Mario Draghi (potrà non piacere ai populisti nemici dei tecnici ma è così), non aver colto per ora il traino del Pnrr, il Fondo Monetario Internazionale ha riportato l’Italia in fondo alla classifica europea nelle previsioni del Pil dell’Italia per il 2024 e 2025.

Intanto il Governo pensa ai centri per immigrati in Albania, ignora temi spinosi quali balneari, taxi e Mes, distrae l’opinione pubblica con una riforma del premierato che è a dir poco un pasticcio istituzionale. Tutto questo mentre i problemi storici della nostra economia restano lì sul tappeto: la scarsa produttività, la piccola dimensione delle nostre imprese e, proprio a causa di questo nanismo, la scarsa propensione all’innovazione.

Se poi guardiamo alla recente manovra economica del Governo tutto va nella direzione opposta rispetto a quello che servirebbe, basti pensare all’allargamento della flat tax per le partite Iva fino a 85.000 €. Il nanismo delle nostre imprese è anche rappresentato dalla Borsa di Milano che è fra le meno rilevanti nelle economie avanzate sia come aziende quotate sia per capitalizzazione complessiva. Spulciando fra i titoli, tolte le banche e le aziende dove è presente lo Stato, restano imprese spesso piccole con ridotto flottante (le azioni circolanti di un’azienda rispetto al totale) che non le rendono contendibili e che nel tempo hanno bruciato capitalizzazione, ovvero distrutto valore.

I casi sono molti, in passato abbiamo parlato di Tod’s il cui noto patron tentò il delisting offrendo un prezzo per azione molto al di sotto delle attese, per questo l’operazione fallì. Oggi Tod’s resta un titolo che non decolla, in balia di scambi ridotti e soprattutto delle scelte dei pochi che detengono pacchetti di azioni rilevanti; tutto questo non ha dato molte soddisfazioni a piccoli risparmiatori che, suggestionati dal “Made in Italy”, avevano investito in Tod’s con fiducia e oggi si ritrovano un titolo lontano anni luce rispetto ai valori di acquisto (meno 40% negli ultimi due anni, meno 70% negli ultimi 10 anni).

Altro caso, per restare nello stesso settore, Geox (che come Tod’s è poco contendibile, con un flottante al di sotto del 30%) il cui valore in borsa ha subito lo stesso trend discendente; Geox fra l’altro ha fatturati inchiodati ormai da un decennio (800 milioni nel 2015, 730 nel 2022). Se il mercato dei capitali deve servire allo sviluppo (anche dimensionale) delle aziende allora possiamo dire che nel nostro Paese la sfida è stata persa. Al di là dei casi specifici, al Governo dovrebbero aprire gli occhi e fare qualcosa per favorire lo sviluppo delle imprese e non distribuire regalie o piccoli dividendi a qualche fortunata categoria sociale a scapito di altre. Finché le imprese non saranno al centro di un programma di Governo serio il nostro piano di sviluppo resterà sempre inclinato al ribasso.