Il premierato e l'autonomia differenziata non vedranno (mai) la luce

I veti incrociati e le reciproche diffidenze avranno la meglio

di Daniele Marchetti
Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani
Politica

Premierato, autonomia ed Europee: una "miscela esplosiva"

Altro che referendum o, come molti -sotto sotto- sperano, altro che effetto Renzi-bis per la sorte del Governo: il premierato (la madre di tutte le riforme per Fratelli d’Italia) e l’autonomia differenziata (bandiera della -o, meglio, di una certa- Lega) non vedranno la luce (almeno) in questa legislatura.

L’importanza costituzionale degli argomenti, la delicatezza degli equilibri che si andrebbero a lambire e forse ad intaccare accompagnati ai veti incrociati e, principalmente, alle reciproche crescenti diffidenze avranno -c’è da immaginarlo- la meglio.

In fondo, per quale motivo la Premier Giorgia Meloni dovrebbe fare un piacere politico alla Lega approvando l’autonomia differenziata senza avere la certezza del supporto degli alleati di governo (che sospendono il giudizio in vista della stesura -assai determinante- della legge elettorale) per l’introduzione del premierato in Italia?

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E perché mai Matteo Salvini dovrebbe intestarsi una riforma che rischia di spaccare l’Italia e che, soprattutto, costituisce da sempre il cavallo di battaglia del Governatore del Veneto e suo antagonista per la segreteria del partito, Luca Zaia?

Ancora, perché Forza Italia e la Lega dovrebbero appoggiare la riforma del premierato sapendo che il candidato in pectore alla carica di Premier del centrodestra sarà inevitabilmente l’attuale Presidente del Consiglio e leader del partito di maggioranza relativa, Giorgia Meloni?

Su questo scenario, già assai complicato, si innestano le fibrillazioni legate al voto europeo (soprattutto se Fratelli d’Italia dovesse scendere sotto la soglia psicologica del 26% e Forza Italia dovesse superare la Lega) e, segnatamente, al nuovo assetto politico che assumerà la Commissione Europea e la maggioranza che la supporterà per i prossimi cinque anni.

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Se poi, in Europa, la maggioranza che sostiene il governo Meloni dovesse dilaniarsi sul voto per la Presidente della Commissione (Matteo Salvini ha più volte detto che la Lega non voterà mai Ursula Von Der Leyen) il maremoto su Palazzo Chigi risulterebbe ineludibile.

Una miscela esplosiva che potrebbe essere innescata da situazioni ben più modeste e locali come un eventuale rimpasto che Meloni ha prudenzialmente -e non a caso- già escluso ma che potrebbe tornare all’ordine del giorno con il precipitare delle questioni giudiziarie pendenti su esponenti del governo, come dalla dipartita di ministri importati verso i lidi dorati di un più prestigioso ruolo europeo.

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