Legge Cartabia, senza denuncia onere alla vittima (col rischio ritorsioni)

Giustizia, una critica dettagliata (e senza slogan) alla riforma Cartabia: senza denuncia di parte non c'è azione penale, alla vittima l'onere dell’avvio

L'opinione di Elisabetta Aldrovandi*
Politica

Giustizia: la Legge Cartabia amplia le misure alternative al carcere verso una giustizia meno afflittiva e più rieducativa, ma lascia alle vittime di alcuni reati la responsabilità di avviare l'azione penale

In un mondo dove siamo primi per auto veloci e sfreccianti che ci invidiano ovunque e che ovunque tentano (senza successo) di copiare, abbiamo una macchina lentissima. La più lenta d’Europa. È quella della giustizia. Tanto che, fra le condizioni imposte per ottenere e utilizzare le importanti risorse del Pnrr, rientra l’obbligo di ridurre i tempi dei nostri processi (civili e penali) del 25% entro il 2026. Un obbligo impegnativo, visto che la durata media dei contenziosi italiani è di sette anni e mezzo, a fronte dei due anni e mezzo della Germania. Ma ci si prova, perché in gioco non ci sono solo moltissimi miliardi di euro, ma la possibilità di far ripartire un’economia in crisi da decenni, e ancora più provata dalla pandemia.

La riforma Cartabia, quindi, ampliando le ipotesi di misure alternative al carcere in un’ottica condivisibile che si indirizza verso una giustizia sempre meno afflittiva e sempre più riparativa e rieducativa, ha previsto anche la trasformazione di molti reati da procedibili d’ufficio a querela di parte. La differenza consiste nella condizione di procedibilità: nel primo caso il magistrato, preso atto della notizia di reato, avvia le indagini. Nel secondo caso serve l’impulso di parte, senza il quale l’azione penale non prende il via, ossia non è, appunto, procedibile.

Quali sono i delitti che, ora, richiedono la querela per potersi trasformare in fascicolo sul tavolo della procura, e, in caso di rinvio a giudizio, in processo penale? Quelli contro la persona o il patrimonio con pena uguale o superiore nel minimo a due anni. Vi rientrano, fra gli altri, le lesioni personali stradali gravi o gravissime qualora non ricorrano le circostanze aggravanti come l’uso di alcol o sostanze stupefacenti, le lesioni personali dolose con prognosi fino a 40 giorni, il sequestro di persona semplice (ossia, non a scopo di estorsione), la violenza privata. E ne fanno parte anche la violazione di domicilio, la minaccia  aggravata anche se commessa da persona recidiva, il furto aggravato, la truffa, la frode informatica e l’appropriazione indebita. Insomma, un gruppo di reati che, seppur considerati bagatellari per il nostro ordinamento, in realtà creano grave allarme sociale.

Basta pensare al numero elevato di furti con destrezza (volgarmente denominati scippi), che ora sono perseguibili solo in presenza di querela da parte della persona offesa, che ovviamente deve essere legittimata a proporla. Si immagini, per esempio, il caso in cui un pedone sia investito sulle strisce pedonali e finisca in ospedale con fratture multiple, come potrebbe presentare la querela entro tre mesi? Probabilmente non ne sarebbe in grado, verrebbe meno la condizione di procedibilità e l’autore di quelle lesioni resterebbe impunito. Peraltro, la punibilità a querela per le lesioni stradali gravi e gravissime non rappresenta un incentivo al rispetto del codice della strada, tenendo conto che siamo appena usciti da un anno in cui sono oltre 1200 le persone investite da automobilisti indisciplinati.

Così accadrebbe nel caso della truffa, un reato assai insidioso perché spesso la vittima si vergogna di ammettere di essere stata raggirata, e denunciare il truffatore rappresenta un’ulteriore onta e motivo di auto commiserazione. E un delinquente impunito si sentirà legittimato a perpetuare la sua condotta delinquenziale, causando ulteriori vittime. Insomma, questa riforma non prende in considerazione la difficoltà di chi subisce un reato nel dover ripercorrere la vicenda in prima persona, nel doversi recare presso gli uffici di polizia giudiziaria e subire l’iter, lungo ed emotivamente difficile, della presentazione di una querela. E le eventuali ritorsioni?

Pure quelle potrebbero verificarsi, nel momento in cui il denunciato sa che, senza la querela della persona offesa, non sarebbe stato perseguito e processato, ancor più se si pensa che la stessa aggravante del metodo mafioso non trasforma questi reati in procedibili d’ufficio. Chi si assumerebbe facilmente la responsabilità di denunciare e querelare il mafioso di turno che con un pugno in faccia gli ha rotto uno zigomo, o che lo minaccia di morte? Insomma, oltre al danno, la beffa. La vittima non soltanto subisce il reato, ma le è pure addossata la responsabilità dell’avvio dell’azione penale nei confronti di chi si presume abbia commesso il fatto, o contro ignoti qualora l’autore sia sconosciuto.

Il tutto, senza che le sia fornita alcun tipo di assistenza giuridica, poiché, a differenza dell’indagato, non le è dato il difensore d’ufficio, ma per avere informazioni deve adoperarsi autonomamente. E senza che le sia garantito il diritto di costituirsi parte civile nel successivo procedimento penale, perché il nostro sistema prevede una serie di riti alternativi che chiudono anzitempo il processo e rispetto ai quali la persona offesa non ha nessun diritto. Mi occupo da anni di vittime di reati, e mi rammarico nel constatare che questa parte della riforma, così scritta e messa in atto, rischia di moltiplicare i casi di impunità, e di rendere sempre più complicato il percorso delle vittime verso la ricerca della giustizia.

*Avvocato e Presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime

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