Proporzionale con premio e preferenze. Non è affatto male l'idea di Letta....

Caro Salvini, perché no?

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma
Referendum Seggi
Politica
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Una proposta che garantisce governabilità e, con le preferenze, rappresentatività

Con tutti i problemi che ci sono, soprattutto in ambito economico ed energetico, non comprendiamo come si possa parlare di legge elettorale, ma la politica è anche questa e dunque è giusto occuparsene.

Tutto è partito dal segretario del Pd Enrico Letta che pochi giorni fa ha parlato di proporzionale per saldare l’alleanza con Di Maio e Conte, ma dal centrodestra è arrivato un secco no, compresa Maria Elena Boschi di Italia Viva che ha parlato di “sindaco d’Italia”, un vecchio pallino di Renzi. Così il Pd ha preso l’iniziativa, ancora tutta campata in aria, di aprire una discussione anche col centrodestra su una legge proporzionale con premio di maggioranza alla lista o coalizione di liste vincente che superasse la soglia del 40% dei voti.

Una specie di Italicum così come smembrato dalla Corte costituzionale, ma con le coalizioni e probabilmente anche con le preferenze. Dal centrodestra è arrivata un’apertura da parte di Fratelli d’Italia, mentre la Lega è rimasta fredda. Lo stesso Salvini ha detto che una legge elettorale c’è già e quella rimane. Fuoco di sbarramento e pretattica, ci sta.

L’idea di Letta è quella di giocarsela con la sua coalizione al Centro-Sud e tentare il colpaccio col premio di maggioranza, ma, stando alle attuali intenzioni di voto, con la proposta del segretario del Pd (proporzionale con premio di maggioranza) ad aggiudicarsi il premio sarebbe la coalizione di centrodestra, che al momento è data dai sondaggi nella forbice tra il 44% ed il 48%. Salvini non ci sta per il semplice fatto che con la legge attuale, il Rosatellum, il centrodestra farebbe il pienone nei collegi uninominali del Nord e a macchia di leopardo al Centro-Sud.

Questo Letta lo ha ben chiaro, ma la sua proposta ha una logica ed è di natura esclusivamente politica. Il segretario Dem ha serie difficoltà nel convincere il suo partito a cedere parecchi collegi uninominali al Sud a Conte e a Di Maio. Col proporzionale e premio di maggioranza, invece, il problema sarebbe ampiamente risolto, per questo Salvini si è messo di traverso perché non vuole essere proprio lui a togliere le castagne dal fuoco a Letta.

Ma in politica serve pragmatismo. Il Rosatellum, per come è costruito, garantisce in pratica la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento solo nel caso in cui una lista o coalizione di liste raggiunga non meno del 40-42% dei voti su scala nazionale, a condizione però che non si verifichi ciò che è accaduto nel 2018, cioè il cappotto di un solo partito (o coalizione) in una determinata area del Paese, vanificando la differenza di voti tra una coalizione (o partito) e l’altra.

Il 4 marzo 2018 il M5S, che a livello nazionale aveva ottenuto circa 5 punti percentuali in meno del centrodestra (32,7% VS 37%), fece il pienone al Sud in tutti i collegi uninominali di ben sei regioni (Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia), vanificando la vittoria del centrodestra al Centro-Nord. Medesima situazione si potrebbe verificare il prossimo anno, con il centrodestra in vantaggio al Centro-Nord e il centrosinistra al Sud, con la conseguenza che ci ritroviamo un’altra volta Draghi a Palazzo Chigi, o se non lui un Cottarelli qualsiasi.

In sostanza il Rosatellum offre un quadro politico e parlamentare a seconda del risultato collegio per collegio (plurinominali collegati agli uninominali), mentre un proporzionale con premio di maggioranza segue in teoria il computo complessivo dei voti su scala nazionale. Allora perché rischiare ancora col Rosatellum? A Salvini non devono interessare le castagne sul fuoco di Letta, deve pensare di garantire al centrodestra la possibilità concreta di poter governare il Paese per i prossimi cinque anni. La proposta del segretario Dem è buona e crediamo debba essere accolta. A due condizioni, però.

La prima è che l’elettore possa esprimere le preferenze (via i listini bloccati o i capilista indicati dai partiti!), cosicché si possa contrastare il fenomeno dell’astensionismo dando all’elettore la facoltà di scegliere direttamente i candidati da eleggere in Parlamento (come peraltro la Costituzione prevede); la seconda è quella di prevedere, sì, un premio di maggioranza alla lista o coalizione di liste che garantisca a chi ottiene almeno il 40% dei voti di aggiudicarsi il premio, ma senza tuttavia inquinare il principio di rappresentatività, dunque il premio deve essere ragionevole, cioè strettamente necessario a garantire la maggioranza assoluta dei seggi in entrambi i rami del Parlamento, non oltre (si potrebbe pensare ad esempio ad un premio che assegni il 52-53% dei seggi, non di più).

Dopo le due sentenze della Corte costituzionale, la num. 1/2014 che smembrò il Porcellum e la n. 35/2017 che smembrò l’Italicum, i criteri da rispettare in materia di legge elettorale sono in sostanza tre: garantire all’elettore di scegliere direttamente i candidati da eleggere in Parlamento (vanno bene anche i capilista bloccati, purché siano indicati sulla scheda elettorale e comunque sia data all’elettore la facoltà di esprimere almeno una preferenza); il premio di maggioranza può essere previsto solo se è prevista una soglia minima di voti oltre la quale scatti il premio; il premio di maggioranza deve essere tale da non alterare in modo irragionevole la composizione delle Camere (sul punto, anche la prima sezione civile della Corte di cassazione, sentenza n. 8878/2014).

La Corte costituzionale sottolineò altresì che sono conformi alla Costituzione anche i collegi plurinominali coi listini bloccati (per via della centralità che la Costituzione riconosce ai partiti), purché i listini siano brevi e coi nomi dei candidati indicati sulla scheda elettorale. Su quest’ultimo punto crediamo tuttavia che, data l’ampia disaffezione mostrata dagli italiani alle ultime elezioni amministrative (record di astensionismo), in questo determinato periodo storico occorra tornare alle preferenze per fare in modo che gli elettori si sentano concretamente partecipi del processo democratico.

Tecnicamente la proposta di Letta andrebbe nel suo complesso in questa direzione, vale a dire introdurre una legge elettorale similare a quella in vigore per l’elezione dei consigli regionali, con le preferenze ma senza ovviamente i candidati presidenti (cioè in pratica senza i collegi uninominali), con un premio di maggioranza alla lista o coalizione di liste vincente che superi però la soglia del 40% dei voti. Una proposta, parliamoci chiaro, che garantirebbe governabilità e, con le preferenze, anche rappresentatività, nel rispetto delle due pronunce della Consulta. Caro Salvini, perché no?