Il sogno di Macron spazza via ogni velleità di Renzi, Calenda & Co
Il fallimento di Macron nella gestione delle elezioni Ue e il vano tentativo di esportare il modello di "En Marche" a livello europeo con il progetto "Renew Europe"
Macron manda in frantumi il sogno di Renzi e Calenda di un centro forte
La crisi di governo in Francia, con la caduta dopo solo tre mesi del premier Michel Barnier, rappresenta forse il punto più basso della politica democratica francese del dopoguerra. E il colpevole è solo uno: Emmanuel Macron e il suo sogno di spezzare il dualismo destra-sinistra e governare dal centro il paese. La sua mediocrità, che ha raggiunto forse il suo apice nelle sue ripetute puerili scaramucce con Giorgia Meloni (che, francamente, sul piano internazionale in questi mesi gli ha inferto lezioni di strategia politica, diplomazia e autorevolezza a iosa), ha portato il paese allo sbando e a una situazione di stallo assai pericolosa per lui stesso e per l’Europa. La pesante sconfitta alle elezioni europee del giugno scorso, con la netta affermazione del partito di Le Pen e l’avanzata della sinistra estrema di Jean-Luc Mélenchon, sono state per lui un campanello d’allarme per il suo partitino, creato dalle ceneri di una politica corrotta e poco credibile (ma le analogie con il movimento cinque stelle in Italia si fermano qui).
Il suo sogno di aver creato qualcosa che potesse effettivamente rappresentare ed incarnare la guida morale e politica della Francia e dell’Europa poteva dirsi, in qualche modo, ormai irrimediabilmente spezzato. Eh sì, perché Macron non si accontentava di essere la guida francese, voleva anche esportare il suo modello vincente all’Europa intera. Ed ecco nel 2019 la nascita di Renew Europe, una vera e propria emanazione europea di En Marche, il suo partito in patria. Il suo intento era chiaramente quello di riunire intorno a un progetto comune tutti i partiti liberali e centristi europei che non avevano una collocazione chiara nei gruppi presenti a Bruxelles. Al progetto, ovviamente, aderirono con entusiasmo Italia Viva di Matteo Renzi (grandissimo estimatore del presidente francese) e Azione di Carlo Calenda. Ed in effetti, nella passata legislatura, complice una sostanziale maggioranza socialista al Consiglio europeo (ora totalmente ribaltata) e una debolezza dei popolari europei, i liberali di Macron hanno avuto gioco facile nel riuscire ad essere determinanti su molti importanti dossier discussi e votati in Europa. La sua alleanza con verdi, sinistre e, appunto, popolari europei ha messo fuori gioco le ali della destra del parlamento e ha permesso ai liberali di essere quello che, in Italia, ancora non è riuscito praticamente a nessuno: fare del centro il perno decisivo della politica.
Adesso, però, il re è nudo. Il presidente francese ha perso definitivamente la sua battaglia ed è diventato forse il vero problema della politica francese e del paese, che sta andando incontro a una crisi economica e sociale, le cui conseguenze sono ancora difficili da prevedere. I suoi errori sul piano economico, industriale, sociale e sulla politica estera sono innumerevoli, dettati dalla sua supponenza e dalla sua incapacità nel gestire le situazioni di difficoltà e nel contrastare chi, come per esempio il caso di Giorgia Meloni, può fare ombra al suo smisurato egocentrismo. Eppure, il centro di Renzi e anche quello di Calenda hanno sempre guardato a lui come un faro per dimostrare come, effettivamente, usando una metafora calcistica, in politica la differenza si faccia nel mezzo. E occorre dire che, grazie a molte circostanze fortunate (le stesse che hanno favorito l’ascesa di Macron in Francia nel 2017), Renzi, nella passata legislatura, ha effettivamente giocato un ruolo centrale sia al governo sia nella partita del Quirinale. Ma allo stesso modo di Renzi, che ha creduto che tutti fossero arrendevoli come Salvini e Conte e che la destra di Meloni facesse ancora paura, Macron ha sempre giocato sul fatto che la paura che hanno sempre suscitato nel sentire comune le destre al governo non avrebbe mai permesso la salita all’Eliseo di Marine Le Pen. Ecco perché la vittoria di Meloni e, soprattutto, il suo atteggiamento politico, la sua postura e la grande autorevolezza conquistata a livello internazionale, atlantista ed europeista, come e più di tanti altri suoi illustri predecessori, hanno “sdoganato” la destra al governo, smascherando chi, come Macron, la utilizzava come spauracchio per mantenere le sue rendite di posizione e farsi paladino della democrazia contro le ipotetiche barbarie e intolleranze delle destre europee.
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Caduto questo velo, si è potuto vedere così cosa celasse dietro al presidente e alla sua grandeur: il nulla o quasi. L’azzardo delle elezioni anticipate del luglio scorso, nel disastro elettorale per lui delle europee, serviva per fermare sul nascere l’avanzata del Rn. Ma i calcoli, ancora una volta, erano sbagliati. Perché, se da un lato è riuscito ancora una volta a fermare la sua storica rivale, allo stesso tempo ha favorito chi, come Mélenchon alla sinistra estrema, nutre per lui un disprezzo ancora maggiore. Aveva sperato di giocare ancora una volta il ruolo del gran mazziere, ma stavolta i conti erano del tutto sbagliati. Il leader della sinistra voleva governare e voleva soprattutto che lui si facesse da parte (cosa che non ha osato chiedere nemmeno Le Pen). E il risultato è stato quello di formare un governo con un vecchio leader del partito dei Républicains (anch’essi, come En Marche, usciti abbastanza male dalla contesa elettorale), Michel Barnier, grazie all’appoggio non proprio convintissimo del partito del Rassemblement National. Politico di vecchio corso, due volte commissario europeo, moderato e abile nel compromesso (è stato per cinque anni Capo negoziatore europeo per l'uscita del Regno Unito dalla UE), pensava potesse essere il traghettatore verso le prossime presidenziali, previste tra due anni. Un personaggio di quella vecchia politica contro la quale il giovane Macron si scagliava duramente nel 2017, nella sua corsa verso la conquista dell’Eliseo. Ennesima giravolta di un politico che dell’incoerenza e dell’opportunismo ha ormai fatto la sua principale cifra politica. I cittadini francesi, però, questa volta non gli hanno creduto e hanno mostrato di averne le tasche piene di lui e del suo centro e hanno chiaramente fatto intendere, con il voto, di volere che la prossima sfida presidenziale sia tra sinistra e destra (con la forte possibilità che questa volta possa prevalere proprio Le Pen).
E questa, forse, potrebbe essere anche un’utile lezione per quanti, come Renzi e Calenda in Italia, continuano a preconizzare sconfitte certe per chi non fa alleanze con il centro (cosa, tra l’altro, smentita più volte dai fatti e dai numeri). Il presidente francese era una sorta di amuleto per i centristi di mezza Europa, che adesso si sentiranno forse un po' orfani. La politica in Europa, così come in America e nel resto del mondo, vista la situazione obiettivamente complicata, sembra ormai più dettata da tematiche e argomenti forti, che necessitano che ad affrontarli siano posizioni ferme e nette. Perché gli elettori sembrano ormai non sopportare le idee melliflue e opportunistiche, tipiche di chi preferisce non schierarsi e posizionarsi nella comoda posizione del centro. Ormai non è più il tempo del traccheggiamento, come hanno ben mostrato anche le ultime presidenziali negli USA. Occorre prendere posizioni chiare e ben definite, magari anche scomode talvolta difficili, ma non si può pensare di vivacchiare e restare sempre in mezzo a un guado (altro grande errore imputabile alla blanda presidenza di Macron, soprattutto nel suo secondo mandato, sia in patria che in politica estera su molti dossier). Quello che si rischia è l’irrilevanza, che poi porta al distacco e all’oblio da parte della gente. Proprio quello a cui pare essere inesorabilmente destinato il presidente francese, ormai su un inesorabile viale del tramonto.