Marco Damilano, il debutto su Rai 3 con "Il cavallo e la torre" non convince
Il giornalista è passato dalla direzione de L'Espresso alla conduzione del programma trasmesso dagli studi di viale Mazzini a Roma
"Il cavallo e la torre", la trasmissione condotta da Marco Damilano al suo esordio su Rai 3 non convince
Ieri, lunedì 29 agosto, è iniziata alle 20.40 su Rai 3 "Il cavallo e la torre", la striscia che accompagnerà tutti i giorni per dieci mesi gli italiani per il breve spazio di dieci minuti con Marco Damilano, da poco defenestrato dalla direzione de L'Espresso di Danilo Iervolino che l’ha acquistato dal gruppo Gedi.
La messa in onda avviene addirittura da viale Mazzini a Roma, in uno studio che i più attenti avranno riconosciuto essere proprio quello utilizzato in lockdown, dove si alternavano dotti, medici e sapienti che informavano e terrorizzavano gli italiani, con dietro la vista del mitico cavallo Rai dello scultore Francesco Messina.
Questo format ha un passato illustre con Enzo Biagi con "Il Fatto" (che poi diede il nome al Fatto quotidiano di Marco Travaglio) su Rai 1 e Andrea Barbato con "La Cartolina" su Rai 3. Si tratta di una iniezione mirata al midollo del pubblico, centrandogli un punto ben preciso, quello post cena in cui la stanchezza della giornata insidia il senso critico e un bicchiere di vino mostra un aspetto più roseo della realtà.
Damilano ha spiegato che lo strano titolo deriva da un libro di Vittorio Foa, "Il cavallo e la torre" in cui il saggista e politico torinese rimarcava – a suo dire - il fatto che: "Il cavallo nella scacchiera ha una mossa apparentemente più debole rispetto a quella della torre, ma in realtà più forte perché salta e spiazza, mentre l'altra è ripetitiva".
In realtà questa spiegazione è bolsa (rimanendo in tema equino) perché chiunque giochi a scacchi - anche a un livello dilettantistico - sa che la torre è il pezzo più pregiato e vale 5 mentre il cavallo non è un granché è vale solo 3.
Ma a parte la spiegazione non corretta capiamo che Damilano abbia voluto identificare il pezzo degli scacchi con il cavallo Rai di viale Mazzini, ma anche in questo caso i conti non tornano perché la Rai –rimanendo nella metafora scacchistica - è piuttosto una torre, anzi una regina, quanto a potenza di fuoco. Il cavallo invece potrebbe rappresentare proprio La 7, la rete televisiva da cui Damilano proviene con la trasmissione "Propaganda Live", condotta da "Zoro" Diego Bianchi.
La Rai è una corazzata tutt’altro che agile e "spiazzante" ma dispone di una terribile forza di impatto dovuta ai soldi del servizio pubblico. Dopo queste considerazioni scacchistiche - che comunque dimostrano che nel nostro Paese c’è una approssimazione di fondo in ogni argomento che deforma e storce la realtà -passiamo alla puntata di esordio.
La prima puntata ha preso lo spunto da una gaffe da Claudio Lotito, il Presidente della Lazio, che candidato in Molise con Forza Italia ha dichiarato che "Amatrice è in Abruzzo" invece appunto che nel Lazio, ma non contento ha insistito dicendo "non ho sbagliato perché lo era prima". Allora con lo stesso criterio potremmo dire che Nizza è in Italia e Trieste in Austria.
Dicevamo che Damilano ha preso la palla al balzo e ha zoomato sul paesino siloniano di Pescopennataro in provincia di Isernia, in Molise, dove la politica e le istituzioni "sono assenti" come dicono una coppia di simpatici vecchietti sdentati che Damilano ci vuole a tutti i costi mostrare in un ideologico tributo al neorealismo.
Tuttavia la trovata, collocata come detto ad arte nel dopo cena, ha intristito la digestione degli spettatori.
Le affermazioni poi della coppia sono state un tuffo nel solito qualunquismo di provincia con la dichiarazione del loro non voto a causa appunto del disinteresse dei politici per le piccole realtà locali.
Quindi un esordio grigio e noioso che però non ha impedito a Damilano di fare un buon risultato con un 7.7% di share pari a 1.357.000 spettatori, ancora distante però dall’ 8.4% di Nicola Porro con Quarta Repubblica (Rete 4).
C’è da dire tuttavia che la programmazione de "Il cavallo e la torre" è stata assolutamente blindata dalla Rai che l’ha posta subito dopo il bel programma di Corrado Augias (replica) "La gioia della Musica" e soprattutto subito prima di “Un poso al sole”, storico e seguitissimo programma di Rai Tre. Questa collocazione aveva provocato la protesta del direttore Gennaro Sangiuliano che teme giustamente per il suo Tg serale.
Quando Damilano perse il posto a L'Espresso nessuno ci voleva credere che una cariatide storica del giornalismo italiano avesse fatto il tonfo ed infatti non era così. Per Marco Damilano si è prontamente dispiegato il "paracadute rosso" che l’ha amorevolmente sorretto e trasportato in un soave soffio da Viale Cristoforo Colombo a Viale Mazzini. Se fosse accaduto ad un altro giornalista sarebbe invece divenuto un umarell pensionato che avrebbe seguito i lavori degli operai ai giardinetti, ma per lui no, i potenti amici lo hanno salvato e rifocillato ed ora ce lo ritroviamo per 200 puntate previste in dieci mesi per 1000 euro lordi a puntata. Niente male il bottino ufficiale finale di 200.000 euro in meno di un anno per una trasmissione che dura soli 10 minuti.
Alla faccia dei tanti giornalisti precari che manco lo guadagnano in un mese quanto si cucca Damilano in una sola brevissima puntata, ma lui è dalla parte degli "ultimi e dei senza voce" e quindi è giusto che sia pagato così profumatamente. Per questo ha ringraziato l’amministratore delegato Rai Carlo Fuortes dicendo che "È un grande onore e una bella responsabilità per me. Mi avvicino a questo impegno con gratitudine, curiosità e passione", a seguito di una carrellata di denaro pubblico, aggiungiamo noi permettendoci un po' di populismo catodico.