Mattarella si è scocciato, basta tirate della giacchetta da parte dei partiti

Il presidente della Repubblica ha voluto dare un segnale con quel "promulgare leggi non è condividerle". Non ha bisogno che gli si insegni il lavoro

di redazione politica
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Politica

Mattarella e quel segnale ai partiti: su premierato e polemiche per il suo ruolo 

Sergio Mattarella ha deciso di dare un segnale ai partiti, il presidente della Repubblica ieri ha citato lo Statuto Albertino in un incontro con la Casagit, la cassa di assistenza dei giornalisti. "Sono un presidente e non sono un sovrano". Mattarella aggiunge alla sua considerazione anche un "fortunatamente". Con un promemoria: "Il presidente della Repubblica non firma le leggi, ne firma la promulgazione, che è una cosa ben diversa, non significa condividerle". A spiegare cosa ci sia dietro a queste parole del capo dello Stato, ci pensa il quirinalista Marzio Breda su Il Corriere della Sera, che parla senza mezzi termini di un segnale dato ai partiti. Ha i toni educatamente scocciati di chi non sopporta più d’essere tirato per la giacca - spiega Breda - , la sortita con cui Sergio Mattarella mette un punto fermo sui propri poteri. Non ha bisogno che gli si insegni il lavoro, questo il retropensiero. Sa benissimo quello che può o non può fare e ciò che deve fare.

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E lo spiega - continua Il Corriere - a futura memoria con parole piane ed esempi semplici, riassumendo l’Abc della nostra Carta. Come faceva quando aveva la cattedra di diritto costituzionale all’università. Parole nelle quali risuona un bisogno di percorsi ordinati e chiarezza di rapporti, attraverso l’equilibrio dei poteri. Qui sta il punto che ci richiama al presente, con un’allusione che sembra rivolta al cantiere delle riforme. Chissà. Di fatto, quando Mattarella cita "l’armonico disegno che la Costituzione indica e presenta in maniera ammirevole per coloro che la scrissero, trovando accordi in condizioni difficili e dialetticamente molto accese", segnala l’urgenza di distinguere tra agenda politica e agenda delle riforme. Che, in nome dell’interesse generale, non vanno sovrapposte.

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