Meloni disinnesca i veti di sinistra su Fitto. Cauto ottimismo in FdI per la vicepresidenza Ue

Ecco perché le armi (politiche) della sinistra sono scariche

Di Alberto Maggi
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Raffaele Fitto e Giorgia Meloni

Politica

Ue, i distinguo del Pd sembrano preludere a un voto favorevole o almeno a un sostanziale via libera a Raffaele Fitto


Si respira un cauto ottimismo in casa Fratelli d’Italia sul percorso che dovrebbe portare alla nomina di Raffaele Fitto a Vicepresidente esecutivo della Commissione europea. E se da esponenti di primo piano del Pd continuano ad arrivare distinguo e condizioni sul candidato meloniano, la linea comunicativa del quartiere generale è non entrare in polemica diretta con il Pd, tenendo lo stesso Fitto fuori dalla mischia.

In fondo, si ragiona dalle parti di via della Scrofa, le armi messe sul tavolo dai Socialisti europei sembrano essere piuttosto scariche e gli stessi distinguo del Pd sembrano preludere a un voto favorevole o almeno a un sostanziale via libera. Difficile del resto fare diversamente, esponendosi all’accusa fin troppo facile di anteporre la polemica domestica all’interesse nazionale. A danno peraltro proprio di quel Fitto che cinque anni fa, da co-presidente dei Conservatori, spianò la strada al voto favorevole di ECR a Paolo Gentiloni.

Armi scariche, si diceva, perché la complessa procedura di conferma dei Commissari prevede che si raggiungano i due terzi dei voti ponderati tra i capigruppo delle Commissioni parlamentari competenti e nessun candidato socialista può raggiungere questa soglia senza il sostegno proprio di ECR (senza contare che il Ppe dà totale sostegno a Fitto e sarebbe ben felice di poter impallinare almeno uno dei cinque commissari socialisti con la scusa di vendicare un eventuale sgambetto a Fitto).

E se anche l’opposizione delle sinistre dovesse portare Fitto o candidati popolari a una seconda audizione, alla fine si arriverebbe a votare nel plenum delle Commissioni e oggi - a seguito dello spostamento a destra dell’aula di Strasburgo - i gruppi di centrodestra (popolari, conservatori, patrioti e sovranisti) avrebbero i numeri non solo per confermare i candidati di centrodestra ma persino, a parti invertite, per impallinare quelli socialisti.

Per questo ora le pressioni dei progressisti su Ursula mirano a non far concedere la Vicepresidenza esecutiva all’Italia, con minaccia velata di votare contro l’intera Commissione (commissari socialisti compresi) nella votazione finale. In sostanza mentre da un lato il Pd è pronto a rinfacciare a Meloni uno scarso peso europeo frutto del voto contrario di FdI a von der Leyen, dall’altro è proprio il gruppo socialista a cui appartiene il Pd a lavorare per ridimensionare il ruolo dell’Italia.

Un rebus politico-istituzionale da cui è difficile uscire, figlio di un assetto di vertice in cui il livello politico-parlamentare si sovrappone a quello degli Stati nazionali. Meloni intanto rimane sorniona, vigila che Ursula non venga meno alla parola data e si tiene stretto il sostegno del Ppe: in queste condizioni può a buona ragione permettersi di disinnescare le mine del Pd con un democristianissimo silenzio.

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