Nomine Ue, l'ortodossia franco tedesca vuole imporre la sua linea a Bruxelles
A Bruxelles si decidono i nuovi assetti della Commissione europea dopo le elezioni del 27 e 28 giugno
Elezioni europee, Francia e Germania temono la Meloni
È cominciata, con la cena informale di lunedì scorso, la grande schermaglia per decidere i cosiddetti top jobs all’interno delle istituzioni europee. Come era facilmente prevedibile ed atteso non si è arrivati ad alcun accordo, ma si è assistito ad una sorta di conventio ad excludendum verso la premier Meloni, da parte di socialisti e liberali, con i popolari in vigile attesa degli eventi.
Lo scontro che si va delineando non è tanto uno scontro sui nomi, o meglio non si tratta solo di quello, ma di un diverso approccio che si vorrebbe dare al modo di governare l’Unione che indubitabilmente è sempre stato poggiato sull’asse franco tedesco. È da tempo che funziona così, e il nostro paese, pur essendo tra i fondatori, si è quasi sempre dovuto accodare da buon comprimario alle scelte operate da Parigi e Berlino. Ma adesso è entrato in gioco il fattore M. che prima non era presente al tavolo dei grandi d’Europa.
E sì perché il grande successo di Giorgia Meloni in questi diciotto mesi in politica estera e il grande successo alle elezioni europee, ha certamente scompaginato i piani di quanti in Europa pensano comunque di poter fare il bello e il cattivo tempo. Giorgia Meloni reduce da un G7 che è andato forse al di là delle migliori aspettative. e che ha rafforzato il suo ruolo nello scacchiere geopolitico internazionale, rivendica per l’Italia il peso che merita quale paese fondatore dell'Unione.
Macron Scholz e il polacco Donald Tusk, come rappresentante dei popolari, però sembrano non avere la stessa idea, provando la scorsa sera a mettere all’angolo la premier italiana, con scarsa considerazione anche di quello che è stato il risultato delle urne. Ma forse i tre compari non hanno fatto troppo bene i conti, considerando che all’interno della famiglia dei popolari, sono in molti che vorrebbero aprire alla premier italiana, prima tra tutti proprio la candidata del PPE alla presidenza, Ursula Von der Leyen, che da tempo chiede di coinvolgere anche la famiglia dei conservatori nella nuova maggioranza.
Sarà per calcolo politico o per vera convinzione di intenti con la Meloni, ma certamente lei sta dimostrando maggiore pragmatismo rispetto ai leader. leader che come Macron, Scholz e Tusk, che in questa fase appare come il più fiero oppositore della Meloni, hanno inoltre dimostrato uno scarso rispetto formale ed istituzionale, imponendo ad un vertice informale, una sorta di pre- accordo già confezionato. Uno sgarbo non solo verso gli altri ma soprattutto verso gli elettori, il cui voto ha espresso una chiara insoddisfazione anche verso questo sistema di fare politica in Europa.
La realtà è che in Francia e Germania sentono il fiato sul collo di una rivale, molto più combattiva di altri suoi predecessori. Il tentativo di isolarla, non solo nella sostanza ma anche nella forma, rappresenta in realtà un chiaro segnale di debolezza e di timore verso chi, in pochi mesi, ha ridato smalto ad una politica estera italiano, un po’ sbiadita e ha imposto all'Europa la sua linea su molti dossier delicati, a comunicare da quello sulla immigrazione. D’altra parte, come si sa e come diceva quel vecchio saggio di Andreotti, il potere logora chi non lo ha. L’ascesa della Meloni evidentemente non va giù ai due grandi d’Europa. L’irritazione di Macron è ormai evidente in ogni occasione, quella di un sempre più scialbo Scholz sembra seguire più che altro la scia del francese.
La scorsa sera a Bruxelles, il loro intento è stato con tutta evidenza quello di far apparire la Meloni, come una leader isolata e sostanzialmente ininfluente sul voto. Ma analizzando bene la situazione, forse le cose sono leggermente diversi da quanto si voglia far apparire. I nuovi recenti ingressi nel gruppo dei conservatori, una decina in tutto, hanno portato il partito della Meloni in Europa a diventare il terzo più numeroso dell’emiciclo, superando proprio i liberali di Macron. In buona sostanza si tratta di 84/85 eurodeputati, che possono certamente essere fondamentali in una votazione a scrutinio segreto, come quella per la ratifica del presidente della commissione. E quello accaduto proprio nella scorsa legislatura, con l’elezione della Von der Leyen, eletta a presidente della commissione, con uno scarto di soli 9 voti. Senza contare che come detto tra i popolari sono molte le voci discordanti con quella di Tusk (che forse non perdona alla Meloni la sua alleanza con il Pis di Morawiecki ex premier polacco), che vorrebbe a priori escludere i conservatori della Meloni dalla partita delle nomine.
A cominciare proprio dal loro presidente, Manfred Weber, che non ha certo mai nascosto la sua intenzione di aprire comunque al partito della Meloni. Ecco allora che i calcoli fatti da Macron e Scholz potrebbero molto presto scontrarsi con la realtà dei fatti, che parla di una situazione assai fluida con molti paesi che sembrano essere concordi con chi come la Meloni si oppone a queste decisioni catapultate dall’alto. Inoltre, come visto alle ultime elezioni il centro destra pare avanzare in quasi tuta Europa, in particolar modo proprio dove governano Scholz e Macron.
In Germania, infatti, il partito della CDU, vero grande vincitore delle elezioni europee, dopo il lungo regno della Merkel, ora sotto la guida di Friedrich Merz, pare essere tornato alle origini ed avere un approccio, su molti temi, come per esempio quello dei flussi migratori, molto più simile a quello di Meloni. In Francia che si appresta a fine giugno a votare per le legislative, il partito di centro destra della Le Pen, dopo il trionfo alle europee, sembra destinato ad assestare, stando agli ultimi sondaggi, un altro durissimo colpo al partito di Macron, che dovrà probabilmente sopportare i prossimi due anni e mezzo di coabitazione forzata con un lepenista alla guida dell’esecutivo.
Si vedrà a fine mese, al Consiglio europeo del 27 e 28 giugno, quello che effettivamente verrà deciso, ma la sensazione che si ha è che non sarà affatto facile escludere dalla partita una agguerritissima Giorgia Meloni.