Pensioni, Draghi furbo: riforma nel 2023. Tutto quello che non vi hanno detto

Pensioni, la vera riforma solo nel 2023. Furbata di Draghi. Chiunque vinca le elezioni, sarà scontro sulla Legge Fornero

Di Alberto Maggi
Inps IPA
Politica
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Furbo. Scaltro. Abile. Il presidente del Consiglio Mario Draghi, baby-pensionato a 59 anni, evita lo scontro sulle pensione e rimanda la patata bollente al suo successore a Palazzo Chigi. La riforma delle pensioni, dopo la fine di Quota 100 il 31 dicembre di quest'anno e introdotta dal Conte I su spinta della Lega, è stata rimandata nel 2023, ovvero, salvo colpi di scena, dopo l'elezione del nuovo Parlamento e la nascita di un altro governo.

Per il 2022 la manovra economica introduce una misura transitoria e ponte, la famigerata Quota 102: in sostanza, potranno lasciare il lavoro con 64 anni di età anagrafica e 38 anni di anzianità contributiva quei soggetti che maturano i requisiti nell’anno 2022. In aggiunta emergono l’allargamento dell’Ape Sociale a nuove categorie di lavoratori e la conferma di Opzione Donna, entrambe per un anno. Su quest'ultima, il limite di età sale di due anni: non sarà più possibile accedere alla misura che prevede il calcolo dell'assegno completamente contributivo a 58 anni per le dipendenti oltre a un anno di finestra mobile (18 mesi per le autonome) ma saranno necessari 60 anni (61 per le autonome) con 35 di contributi.

Tanto basta per far cantare vittoria al Carroccio e a Matteo Salvini, che temeva il ritorno immediato agli scaloni e all'odiata Legge Fornero. La speranza è che anche i sindacati sotterrino l'ascia di guerra e non proclamino uno sciopero contro l'esecutivo e la sua Legge di Bilancio. Draghi ha imparato in fretta l'arte di rimandare, frutto certamente della mediazione avvenuta giovedì in cabina di regia, e di mettere la polvere sotto il tappeto. Fatto sta che il 2022 non sarà eterno e prima o poi i nodi verranno al pettine. Il tema della riforma previdenziale rischia di lacerare i due schieramenti che faticosamente si stanno costruendo in vista delle elezioni politiche.



Nel Centrodestra, come noto, la Lega vorrebbe tornare addirittura a Quota 100 o, comunque, prevedere un sistema ben diverso da quello della Legge Fornero, che prevede la pensione di vecchiaia con 67 anni di età e l'ammontare dell'assegno pensionistico definito in base ai contributi versati. Peccato che Forza Italia, come hanno sempre spiegato i suoi esponenti, Silvio Berlusconi in testa, non ha mai condiviso Quota 100 e soprattutto nel 2011 ha votato la riforma del governo Monti imposta dall'Unione europea. C'è poi Fratelli d'Italia, che sicuramente non condivide la Legge Fornero ma che su questo argomento non ha una posizione netta e radicale come quella del Carroccio. Insomma, in caso di vittoria nel 2023 del Centrodestra è facile ipotizzare un durissimo scontro sulla riforma previdenziale tra due visioni diametralmente diverse.

Lo stesso discorso vale per il Centrosinistra. L'Ulivo di Enrico Letta, rilanciato dopo la vittoria alle Amministrative, è già appassito sotto i colpi dello stop al Ddl Zan con le accuse a Italia Viva, ma, renziani a parte, restando soltanto nel campo dell'alleanza Pd-M5S le differenze sono notevoli. I Dem, come Forza Italia, votarono la macelleria sociale di Monti nel 2011 e sarebbero pronti, salvo qualche piccolo accorgimento, a tornare alla Legge Fornero già dal 2023 o comunque a un sistema che preveda Quota 104.

I pentastellati, però, proprio con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi approvarono e difesero Quota 100 (pur essendo la battaglia della Lega) e fecero della battaglia alle riforme di Monti, teleguidate da Bruxelles, uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale nel 2018. Anche senza i centristi di Calenda e Renzi, che potrebbero comunque rientrare nella coalizione, pur restando nel perimetro Pd-M5S-LeU, in caso di vittoria alle Politiche, anche da questa parte dell'emiciclo lo scontro sulla riforma delle pensioni sarà inevitabile.

L'unica soluzione, parafrasando il ministro Renato Brunetta, sarebbe una maggioranza post-voto formata da centristi, Pd e Forza Italia che magari riconfermi Draghi a Palazzo Chigi tagliando le ali estreme. In quel caso il ritorno alla Legge Fornero sarebbe praticamente certo. L'ipotesi però non è, almeno al momento, quella principale. Certamente Draghi è stato molto abile a rimandare tutto al 2023, sapendo che su questo tema nemmeno lui, SuperMario, avrebbe potuto trovare la sintesi nella sua eterogenea e litigiosa maggioranza.