"Sovranità popolare solo con il presidenzialismo". Inedito di Giorgia Meloni

La prefazione della leader di FdI al libro inedito di Pinuccio Tatarella che verrà presentato a La Piazza di Affaritaliani.it

Giorgia Meloni
Politica
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Il testo sarà presentato da Fabrizio Tatarella, nipote di Pinuccio, e da Raffaele Fitto a Ceglie Messapica (Brindisi) nella serata del 26 agosto


Affaritaliani.it pubblica in esclusiva la prefazione firmata da Giorgia Meloni (PINUCCIO IL PRESIDENZIALISTA, L’UOMO CHE CI GUARÌ DAL TORCICOLLO) al libro inedito “La destra verso il futuro” scritto dal fondatore di Alleanza nazionale e vicepresidente del Consiglio nel ’94, Pinuccio Tatarella. Un libro non era mai andato in stampa e che è stato ritrovato dai ragazzi della Fondazione Tatarella. Il testo sarà presentato da Fabrizio Tatarella, nipote di Pinuccio, e da Raffaele Fitto a Ceglie Messapica (Brindisi) nella serata del 26 agosto, quando la leader di FdI e candidata a Palazzo Chigi sarà ospite alla kermesse di Affaritaliani.it “La Piazza” e intervistata dal direttore Angelo Maria Perrino.


Prefazione a “La destra verso il futuro”


PINUCCIO IL PRESIDENZIALISTA, L’UOMO CHE CI GUARÌ DAL TORCICOLLO


di Giorgia Meloni
 

 

Credo che non esista, fra quanti hanno vissuto il mondo della destra italiana fra secondo e terzo millennio, uno che non sia mai stato spiazzato da Pinuccio Tatarella. Anche se una pubblicistica approssimativa ha voluto etichettarlo come un «Forlani di destra», la verità è che il ministro dell’Armonia, certamente abilissimo nel mediare e nel guidare partiti e gruppi parlamentari nelle acque perennemente agitate della politica, fu anche e soprattutto un uomo di intuizioni e di coraggio. Alla fine di maggio del 1994, in occasione di un Consiglio europeo, il suo alter ego belga Elio Di Rupo, socialista e omosessuale, che si era già distinto per dichiarazioni molto sgradevoli, provò a metterlo in difficoltà con una sorta di elencazione di valori che a suo parere Tatarella non avrebbe potuto accettare, perché “antifascisti”. Pinuccio replicò soavemente di sottoscrivere tutti quei valori e di volerne aggiungere di altri, come la garanzia per le fasce sociali più deboli e il diritto alla partecipazione dei cittadini. * Presidente Fratelli d’Italia e Conservatori Europei. Opportunismo? Compiacenza? Decisamente no. Tatarella era a casa propria nella democrazia e in Europa. Con la sua risposta a Di Rupo, con le riflessioni che sono contenute anche in questo prezioso inedito, spiegava solo, con superiore linearità e chiarezza, che la destra italiana non aveva più voglia di perdere tempo a leggersi secondo lo sguardo e le lenti deformanti della sinistra. Con lui la nostra identità ritrovava forza prospettica, ci accompagnava nel futuro e nelle sue sfide, ci guariva dal torcicollo. Per le sue origini, per l’odiosa discriminazione a cui è stata sottoposta in età repubblicana, per una malintesa difesa della tradizione e dell’onore, la destra italiana è caduta nella trappola della nostalgia e della rivolta contro il mondo moderno. In realtà non avevamo alcun bisogno di un bagno lustrale e di uno “sdoganamento”: personalità come Tatarella venivano direttamente dall’antica fonte del nazionalismo italiano.

Fabrizio Tatarella - Fondazione "Pinuccio Tatarella"

 

 


 

LA DESTRA VERSO IL FUTURO È LA DESTRA DI GOVERNO. Le condizioni per consentire un giorno alla destra italiana di governare il Paese sono state create da Pinuccio Tatarella. Questo libro è il manifesto politico della moderna destra italiana. L'eredità di Tatarella appartiene a questa generazione, destinataria principale del suo impegno politico per una destra moderna. Anche a Padova in tanti hanno partecipato alla presentazione del libro di Pinuccio Tatarella "La destra verso il futuro" con prefazione di Giorgia Meloni.

Risorgimentali senza retorica, europeisti confederali, atlantici senza servilismo, occidentali senza incertezze. Una eredità difficile da rivendicare, nel lungo evo gelido in cui il tricolore non andava esibito se non ai Mondiali di Calcio, in cui la parola Patria era considerata se non oscena inopportuna, e in cui l’arco costituzionale era unito soprattutto dal disprezzo per lo Stato. Quando corruzione e fango fecero crollare la Prima Repubblica («si è rotta la damigiana», commentò Tatarella vedendo la fine della Democrazia Cristiana) lui fu il primo a comprendere le nuove opportunità, anche emotive, anche simboliche, che il tempo del maggioritario, con la conseguente “costituzionalizzazione delle estreme”, offriva al nostro campo. Ma non si trattò di una folgorazione sulla via di Damasco, del repentino cambio di passo di un uomo dall’intuito straordinario. Fu la lineare conclusione di un processo e di una riflessione iniziati da diverso tempo. Gli articoli raccolti in questo volume, come annota da par suo il professor Parlato, si collocano infatti fra la seconda metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. Anni per me verdissimi, che segnarono il distacco dalla vita terrena di Giorgio Almirante e la tumultuosa transizione del Movimento Sociale verso la leadership di Gianfranco Fini. Anni segnati in modo particolare dalla non convenzionale presenza di Francesco Cossiga nelle stanze del Quirinale. In un certo senso fu proprio la battaglia che il MSI fece in Parlamento a difesa di Cossiga, che la partitocrazia e il Partito Comunista in particolare tentavano in ogni modo di ridurre al silenzio, la prima crepa nell’edificio della pregiudiziale contro la destra. E fu allora che la battaglia presidenzialista venne finalmente compresa come possibile, plausibile, necessaria.

Le parole pronunciate 30 anni fa a Fiuggi

 

 


 

 

Non più barricata “antisistema”, ma concreto strumento di lotta al consociativismo e di costruzione di una democrazia decidente. Perché, malgrado la strumentalità interessata con la quale vengono lette le nostre posizioni, il sovranismo non comincia con la orgogliosa rivendicazione delle nostre specificità e dei nostri interessi rispetto alla speculazione del mondialismo mercatista: comincia dalla rivendicazione dell’appartenenza della sovranità al popolo, solennemente sancita dall’articolo Uno della nostra Costituzione e negata ed espropriata con pervicacia durante tutta l’età repubblicana. Gli Italiani sono l’unico Paese democratico europeo a cui nei fatti è impedito scegliere da chi farsi governare: perché anche nei Paesi di democrazia parlamentare provvedono a soddisfare questa esigenza le prassi costituzionali e parlamentari. Il Regno Unito non accetterebbe mai un premier che non fosse il leader del partito vincitore delle elezioni, e lo stesso dicasi per la Spagna o la Germania. Solo da noi questo elementare diritto viene delegato alle camarille dei partiti e dei gruppi parlamentari. Per questo, senza celare i meriti di Bettino Craxi o Silvio Berlusconi, ci siamo sdoganati da soli, tramutando la nostra estraneità agli accordi consociativi in proposta concreta e costruttiva. E nel processo non sempre facile di costruzione del centrodestra non abbiamo mai abbandonato questa prospettiva. Ne fanno fede il nostro presentarci alle elezioni coesi, lasciando agli elettori la scelta di quale fra noi avrebbe dovuto assumere la premiership. Lo dico con legittimo orgoglio: la coerenza, la stella polare della posizione di Fratelli d’Italia, è figlia diretta di questa impostazione. Abbiamo chiesto e ottenuto i voti degli Italiani per governare insieme alle altre forze del centrodestra, e a questa linea ci siamo rigorosamente attenuti, pur rispettando chi ha voluto compiere altre scelte e prendere altre strade.


 

 

Continuiamo, sulla scia di Tatarella, a ritenere che la leadership, in democrazia, non la diano i giornali o i circoli degli ottimati, ma i cittadini con il loro voto. Possiamo illuderci che basti una cosmesi, che ci si possa accontentare di carismi d’occasione, di fuochi di paglia alla Renzi o persino di leadership di laboratorio come quelle di Di Maio e Giuseppe Conte, ma senza il requisito della legittimazione popolare, avremo sempre la debolezza dei Governi che ha contraddistinto la Prima Repubblica e la flebilità in sede europea che ne è la diretta conseguenza. Il nostro europeismo senza timidezze ha bisogno di un’Italia orgogliosa e confidente, come quella che rappresentò un altro compianto Tatarella, quel Salvatore a cui mi ha sempre unito stima umana e affetto. Ora che ci siamo seduti dalla parte del torto, essendo tutti gli altri occupati (e capisco che sentirmi citare Bertold Brecht stupirà tanti parrucconi convinti di essere i soli a leggere), sappiamo che il nostro apparente isolamento, la nostra apparente solitudine sono in realtà l’essere in compagnia di tanti. Tanti nel presente, perché gli Italiani ci apprezzano in misura assai maggiore di quanto non dicano i pur lusinghieri sondaggi.
 


 

E tanti che purtroppo sono altrove, come i nostri indimenticabili Pinuccio e Salvatore e le tante grandi anime che hanno segnato il cammino della destra italiana. Possiamo riascoltare la loro voce, riorganizzare i loro scritti grazie al lavoro encomiabile e infaticabile di organismi come la Fondazione Giuseppe Tatarella. Purtroppo, la destra italiana non ha mai prestato troppa attenzione alla memorialistica, agli archivi, ai depositi del sapere. Grave mancanza, che dovremo cercare in ogni modo di colmare. Per questo esprimo la mia personale riconoscenza alla Fondazione. Non sapre trovare un complimento migliore se non dire che nulla, fra le cose che conosco o che ho visto, è più completamente e perfettamente tatarelliano della Fondazione che porta il suo nome.