Quirinale,dalla lite con Follini alle foto nudo..."Pierfurby" tenta la scalata
Casini rilancia il centro e spiazza i partiti. Il dietro le quinte della strategia di Pierfurby. Inside
Lapresse
Altro giro altra corsa, si potrebbe dire. Il nome dell’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini torna a circolare tra i papabili per il Colle. Era già successo a ridosso dell’elezione di Sergio Mattarella. Allora il suo sponsor fu Angelino Alfano, ma quando Matteo Renzi tirò fuori dal cilindro un coniglio di razza come l’allora giudice della Corte costituzionale, nonché ex dirigente ed ex ministro della Democrazia cristiana, i giochi si chiusero. Stavolta, però, Pierferdi rientrerebbe proprio a pieno nei piani del leader di Italia viva, stando a quanto si vocifera a Palazzo. Chissà che l’ex premier di Rignano non lo aiuti una seconda volta. Sì, perché fu proprio grazie al via libera di Renzi, allora segretario dem, se Casini alle ultime politiche è stato candidato nel collegio uninominale del Senato a Bologna come esponente della lista Civica popolare ed è riuscito a guadagnare il seggio in Parlamento. Salvo, subito dopo decidere di accasarsi, nello stesso gruppo scelto da Giorgio Napolitano, quello delle Autonomie.
Due sole le controindicazioni. Intanto bisogna vedere se Renzi ha ancora il tocco magico di un tempo. Una cosa è sicura: nessuno più di lui conosce i meccanismi dei Palazzi, ma soprattutto è in grado di fiutare le debolezze dei partiti e incunearsi nelle loro difficoltà. Ed ecco che allora Casini può essere la carta giusta da giocare per lanciare davvero il centro (da Coraggio Italia alla stessa Italia viva, passando per Più Europa, Azione e, perché no, anche per la Lega giorgettiana), riuscendo in un colpo solo a spaccare il Pd e a rendere ininfluente il Movimento cinque stelle. Ma c’è una seconda controindicazione che allontana parecchio il senatore bolognese dal Quirinale e cioè il fatto che il suo nome sia stato fatto troppo presto. Il che, per chiunque conosca un po’ le dinamiche politiche, equivale a bruciarlo. Insomma, il classico caso da conclave: chi entra papa, poi alla fine esce cardinale.
Intanto, Pierfurby, per citare l’appellativo che gli appioppò Cossiga ("Non faceva sconti a nessuno - ha spiegato Casini stesso nell’estate 2020 all’Adnkronos -. Cossiga mi ribattezzò 'Pierfurby', in un momento di allergia mi tirò questa polpettina avvelenata, certe cattiverie democristiane solo noi potevamo capirle"), anche se non lo ammeterà mai, non disdegnerebbe affatto un simile coronamento di carriera. Un cursus honorum che non lo ha visto varcare la soglia di Palazzo Chigi, non è stato mai ministro e mai sottosegretario. In compenso siede in Parlamento dal 1983, ben 38 anni. Nel 2001 venne eletto presidente della Camera. Nato e cresciuto nella Democrazia cristiana all’ombra di Arnaldo Forlani, l’uragano di Tangentopoli non ha avuto alcun contraccolpo per lui. E così, mentre Mani pulite scuoteva la Balena bianca e Silvio Berlusconi si preparava a scendere il campo, Pierferdi si schierava col Cav nella Casa delle libertà. Salvo poi chiamarsi fuori, in occasione del lancio del Pdl da parte del leader azzurro dal famoso predellino della sua auto.
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Una vita spesa al centro. Prima dando vita, insieme a Clemente Mastella, al Centro cristiano democratico (Ccd) e poi fondando l’Udc. Quindi, il matrimonio, sebbene di breve durata, con Mario Monti e a seguire il sostegno ai governi Letta, Renzi e Gentiloni. Senza dimenticare, naturalmente, la fiducia accordata al Conte due. Il 19 gennaio scorso, l’ex enfant prodige bolognese, annunciando in Aula il suo appoggio all’esecutivo, però, mise anche in guardia Conte dalla politica dei personalismi e dei risentimenti, invitandolo a ricucire con Matteo Renzi.
La famigerata foto
di Casini senza veli
Un discorso che racchiude la vera essenza dell’ex terza carica dello Stato, sempre pronta a smussare, mediare, glissare e prendere tempo se occorre. Ma soprattutto sempre impegnata a cercare di accontentare tutti. Caratteristiche che si sono ancor più accentuate in questi anni. Chissà se proprio in ottica Colle. Insomma, un lavoro sartoriale per cucirsi addosso un abito quanto più quirinalizio possibile. E pazienza se qualche nemico in passato ‘il bello della Dc’ se l’è fatto. Vale per la rottura con il suo gemello diverso Marco Follini e per quella con Lorenzo Cesa. Galeotto in quest’ultimo caso fu l’appoggio di Casini alla riforma costituzionale targata Renzi. Di acqua ne è passata sotto i ponti. Pure rispetto agli anni fulgenti – era il 1995 - in cui venne addirittura paparazzato nudo in copertina su Eva 3000. Oggi persino le uscite sulla stampa sono accuratamente selezionate e centellinate. Bene se si parla di Afghanistan, ma non di beghe politiche. Se si guarda la navicella del Senato si scopre inoltre che nella sua scheda d’attività figura un solo disegno di legge a sua firma (degli altri è sempre cofirmatario) e, tra l’altro, su un tema di consenso trasversale ed ecumenico: “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista”.
Casini, è evidente, se può punta a unire e a ricucire. Anche per questo nel settembre 2017 fu il prescelto alla guida della Commissione d’inchiesta sulle banche, suscitando non pochi malumori in casa Cinque stelle. E non fa nulla se pochi mesi prima, da presidente della commissione Esteri, aveva bollato la nascente iniziativa parlamentare come “demagogia e propaganda”.
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Tutto passa, tutto scorre. E oggi l’ex numero uno di Montecitorio qualche freccia nell’arco ce l’ha. A cominciare, appunto, dai buoni rapporti con Renzi. Con Berlusconi alla fine i dissapori sono superati. Il mese scorso, la sua iniziativa per la commemorazione della tragedia dell’11 settembre, promossa a palazzo Giustiniani in qualità di presidente del Gruppo italiano dell'Unione interparlamentare, è riuscita a mettere insieme tutti i leader politici, da Renzi a Giuseppe Conte, da Antonio Tajani fino addirittura a Giorgia Meloni. Anche Matteo Salvini è stato della partita. D’altronde, pure col leader del Carroccio Casini ha saputo usare i guanti di velluto. E chissà che financo il suo intervento in Senato del febbraio 2020 contro il processo per il caso della nave Gregoretti non fosse già parte di un calcolo preciso.
Tirando le somme, se si mettono insieme i vari tasselli del puzzle non è da escludere che il senatore di Bologna ci stia mettendo del suo per acquisire crediti a destra e a manca. Di certo, gli avrà fatto piacere leggere l’intervento firmato dal suo ex amico Follini su L’Espresso dell’8 agosto scorso. “Se dovesse essere lui il prossimo capo dello Stato oso dire che si tratterebbe di una scelta degna. Discutibile, ma degna”, ha scritto. Seppur aggiungendo: “Non la mia preferita forse ma pur sempre una scelta che potrebbe avere e magari avrà un suo risvolto positivo”.
Comunque, a breve si giocherà a carte scoperte. Vedremo se la grande rivincita del mai nato centro sarà proprio il Quirinale…
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