Quirinale, Draghi perde quota, ma Mattarella ribadisce il suo no al bis
Quirinale, tutti gli ostacoli sulla strada per il Colle che frenano la corsa di super Mario
Quirinale, perde quota l’ipotesi Mario Draghi e si ingrossa il partito di chi tifa per un Mattarella bis
Più passano i giorni e più perde quota l’ipotesi Mario Draghi al Quirinale. Se fino a qualche tempo fa l’ex presidente della Bce sembrava poter contare sulla ola di quasi tutti i leader politici, adesso il quadro comincia a mutare. Le parole risuonate da Bruxelles di Matteo Renzi, il cui partito può essere decisivo nell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, in effetti, sono più di un campanello d’allarme: elencando tutta una serie di incarichi che Draghi potrebbe ricoprire in alternativa a quello di Capo dello Stato, il senatore di Rignano ha in qualche modo fatto intendere che non è il cavallo su cui punterà. Per tacere dei desiderata – molto interessati – di Silvio Berlusconi, sempre più convinto che super Mario debba proseguire il suo lavoro a Palazzo Chigi. E che dire del leader ombra del M5s? La prima fiche per il ministro degli Esteri Luigi Di Maio rimane la rielezione di Sergio Mattarella. Un nome che, a ben guardare, al momento metterebbe d’accordo tutti coloro che tifano per la stabilità di governo. Ma sarebbe anche l’ultima carta da giocare, come accadde con il Napolitano bis, qualora il Parlamento ripiombasse nello stallo che si generò con i 101 franchi tiratori che affossarono sette anni fa Romano Prodi. Tuttavia, ricordando che Giovanni Leone, come Antonio Segni, era contrario alla rielezione, il Presidente sembra davvero manifestare la sua fermezza nello sfilarsi da un secondo settennato.
Comunque, tornando a Draghi, anche ammesso che tutti i leader politici tifassero per lui al Colle, che garanzia offrirebbe il loro sostegno? “Guardando a come sono messi i gruppi parlamentari, nessuna”, ragiona con Affari un deputato Pd di lungo corso. Del resto, le spaccature al loro interno sono sotto gli occhi di tutti. In Forza Italia, per esempio, la faglia si è allargata con l’elezione del nuovo capogruppo alla Camera dopo la vittoria di Roberto Occhiuto in Calabria. Sullo stesso terreno, più di recente, è caduto pure il M5s con l'elezione di Maria Domenica Castellone alla guida del gruppo pentastellato al Senato. Non che la Lega brilli come esempio di compattezza, complici le anticipazioni del numero due del partito Giancarlo Giorgetti nel nuovo libo di Bruno Vespa. E non va meglio, infine, nel Pd, come hanno dimostrato le tensioni tra i senatori dopo l’affossamento del ddl Zan, tra critiche alla capogruppo Simona Malpezzi e alla linea del partito. “Draghi non è uno sprovveduto - continua il parlamentare dem - Ci penserebbe non una, ma cento volte prima di accettare un eventuale invito a candidarsi, seppure dovesse arrivare da uno schieramento ampio che va da Salvini a Bersani. Proprio perché, al di là dei leader, poi ci sono i gruppi”. Così come, c’è da giurarci, non è sfuggito al presidente del Consiglio l’asse Forza Italia-Lega-Italia viva che appena ieri, votando alla Camera due ordini del giorno di Fratelli d’Italia sulle intercettazioni del decreto proroghe, ha fatto andare sotto la maggioranza di governo. Al di là della tenuta dell’esecutivo (che vivrà sempre maggiori turbolenze, ma non è a rischio), infatti, quel tabellone a Montecitorio è risuonato come un warning per Draghi in vista delle elezioni quirinalizie. E casomai ha ringalluzzito Berlusconi che crede davvero di avere delle chance.
Il macigno della pensione dei parlamentari sulla strada per il Colle dell’ex governatore di Bankitalia
Se la scelta alla fine ricadesse sull’attuale premier, poi, le elezioni anticipate sarebbero più di uno spauracchio. Perché con esse verrebbe meno la possibilità per molti dei peones di mettere in sicurezza il proprio assegno previdenziale. Le rassicurazioni dei leader politici, che pure non sono mancate in questo senso, non basterebbero. Se a questo si aggiunge che è tramontato da un pezzo il tempo della fedeltà alla linea di partito, è chiaro che in tanti al momento del voto si disallineerebbero. Non c’è ordine di scuderia che tenga, a maggior ragione nel segreto dell’urna, se in gioco c’è un interesse personale. E mai come in questo momento l’interesse personale è generale. Sono in tutto 690 i parlamentari alla prima legislatura che hanno cerchiato in rosso il traguardo dei 4 anni, sei mesi e un giorno. “Ci sarà un motivo se un presidente del Consiglio in carica non è mai passato per direttissima da Palazzo Chigi al Quirinale – argomenta il deputato Pd -. In questo caso se qualcosa andasse storto perderemmo tutto: non avremmo un presidente della Repubblica, perderemmo il presidente del Consiglio, che si dimetterebbe, e si andrebbe a elezioni”.
Escluso Draghi, come finirà? “Quello che è accaduto ieri alla Camera è una possibile prova di voto su Berlusconi, se si intendessero Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Italia viva. Anche se, rispetto alle votazioni sugli ordini del giorno, mancherebbero i voti del gruppo di Alternativa c’è che non si esprimerebbe certo a favore del Cav. Se però il leader azzurro venisse bocciato e ci fosse la possibilità di verificare eventuali defezioni nel centrodestra – basterebbe per esempio che Pd e M5s dichiarassero di non votarlo -, allora si tenterebbe prima la strada di un candidato dal consenso più trasversale, tipo Marta Cartabia o Pier Ferdinando Casini. Se fallisse, in ultima istanza, si tornerebbe a Mattarella. Le forze politiche, di fronte a uno stallo insuperabile, con le scadenze e gli impegni che attendono il Paese, potrebbero infatti rivolgersi all’attuale Capo dello Stato”. Insomma, si replicherebbe lo schema che portò al Napolitano bis. Attraverso una rivisitazione della vicenda dei 101 franchi tiratori: “Sì, perché Prodi sta al centrosinistra come Berlusconi al centrodestra. Due candidature di parte. Mutatis mutandis, basterebbe dimostrare, con un gioco di tattica parlamentare, come accadde alle precedenti elezioni per il Quirinale, la fragilità dello schieramento che vorrebbe esprimere il presidente. Ecco che, di fronte a una crisi conclamata si potrebbe arrivare a rieleggere il presidente uscente”.
E, in effetti, il nome dell’attuale capo dello Stato gira vorticosamente. Nonostante l’irremovibilità rispetto all’ipotesi di un bis, più volte ribadita dal diretto interessato. Se qualcosa o qualcuno riuscirà eventualmente a scalfirla è ancora tutto da vedere.