Quirinale, Atreju, Cdx e relazioni Ue: la Meloni fra ambiguità e successi
Maria Latella: "Lavora per diventare la regista della destra italiana ma le serve una classe dirigente moderna". L'intervista
Quirinale, Atreju, Centrodestra e relazioni europee: Giorgia Meloni tra ambiguità e successi. Intervista a Maria Latella
Sono giorni in cui i giornalisti che seguono da anni la politica faticano a fare previsioni. Tutto sembra cambiare non dì settimana in settimana, ma quasi dì giorno in giorno. Anche rispetto all’ipotesi dì cui più si parla: il trasloco dì Mario Draghi al Quirinale o, invece, la conferma della sua permanenza a palazzo Chigi.
Maria Latella, anchorwoman dì Skytg24 e dì Radio24, editorialista del Messaggero, ha seguito la politica italiana da quando al Quirinale si insediò Scalfaro e poi a palazzo Chigi arrivò Silvio Berlusconi. Questa settimana analizza per Affaritaliani l’evolversi della situazione intervistata dal direttore Angelo Maria Perrino.
Dopo Atreju Giorgia Meloni ha conquistato per qualche giorno la scena politica. Ma continua a inviare un messaggio ambiguo. “Berlusconi al Quirinale? Si ma non ci sono i voti. Draghi sul Colle? Si ma non so se lo voterei”…
“Con la sfilata dei leader al suo 'Natale dei conservatori' Giorgia Meloni ha aggiunto un altro tassello al progetto che ha in mente, ovvero proporsi come la futura regista dì una destra italiana che non inquieti l’Europa perché, appunto, inserita nel contesto del partito conservatore. È presto per dire quanto tempo le servirà per completare la sua lunga marcia, ma sono chiari i passaggi che potrebbero, e in parte già possono, aiutarla”.
Vediamo per cominciare quelli che potrebbero aiutarla
“La capacità dì interloquire con mondi diversi, in Italia e all’estero. In Italia mi sembra interessante il rapporto che ha stabilito col segretario del Pd Enrico Letta. Il rispetto reciproco e un confronto civile tra avversari contribuisce a rafforzare la sua immagine dì leader che sa rapportarsi con mondi diversi dal suo. Enrico Letta è un politico con una vasta rete dì relazioni europee e internazionali e anche questo può indirettamente costituire un vantaggio per Meloni. Ovviamente anche Letta ha il suo tornaconto in questo dialogo con la leader dì Fratelli d’Italia. E per il momento il rapporto sembra funzionare per entrambi, almeno stando ai sondaggi che anche Affari ha pubblicato e che vedono in crescita sia Pd che Fratelli d’Italia”.
Meloni però è stata costretta a fare marcia indietro per aver detto che Enrico Letta e’ “il Casalino dì Macron”. Una brutta scivolata.
“Ha fatto bene a scusarsi. Nel clima un po’ euforico del successo dì Atreju dev’essere scappata la frizione”.
Quali altri passaggi possono aiutare Meloni nella sua marcia dì consolidamento?
“In chiave internazionale l’insistenza sull’aggettivo “conservatore”, inserito anche nel Natale dì Atreju, segnala la volontà dì proporsi ormai solo in questa veste. Lo fa in Europa e ovviamente anche negli Stati Uniti. Del resto, è la Presidente dei conservatori europei e ripete spesso che oggi non c’è niente di più rivoluzionario che dirsi conservatori. Certo, dipende quali. Valerie Pecresse in Francia e’ una conservatrice gollista ma certo molto ancorata ai valori europei. Orban e’un’altra cosa e rispetto a lui non sembra che Giorgia Meloni voglia prendere le distanze. Non so fino a quando sarà possibile mantenere una posizione interlocutoria rispetto a Paesi nei quali vengono limitati diritti fondamentali. La Germania può permetterselo, ma diciamo che parte da punti dì forza diversi.
Insomma per ora nella marcia dì avvicinamento Giorgia Meloni trae vantaggio dalla capacità dì parlare a mondi diversi in Italia e all’estero. Cosa potrebbe invece limitarla?
“La difficoltà ad ampliare e modernizzare la sua classe dirigente. Tutti i partiti hanno problemi perché come si sa la politica non attrae più come succedeva negli anni Sessanta o anche fino agli anni 80. D’altra parte avere un personale politico dì qualità oggi è indispensabile. Perché se no, come si vede, quando si tratta dì gestire cose serie si chiamano i tecnici. E gli elettori alla fine non perdonano l’incompetenza. Possono fare atto dì fiducia una volta. Ma alla seconda non ci cascano. Come si vede anche dalla parabola del conservatore Boris Johnson in Gran Bretagna. Ha perso un collegio dove i Tories vincevano da duecento anni”.