Referendum giustizia, ammessi 5 quesiti: e così Salvini esce dall’angolo

La Corte costituzionale ha palesemente sconfessato il governo ritenendo valido il quesito sul sistema di elezione del Csm

L’opinione di Paolo Becchi e Giuseppe Palma
Politica
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Giustizia, la consulta ammette 5 quesiti su 6: vittoria di Salvini

La Corte costituzionale ha ammesso 5 dei 6 quesiti referendari sulla giustizia proposti da Lega e Radicaliìì. Il referendum è di tipo abrogativo e, stando a quanto previsto dall’art. 75 della Costituzione, sarà valido se si recheranno a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto, mentre le norme oggetto di quesito saranno abrogate in caso di vittoria dei sì all’abrogazione.

I quesiti ammessi sono: 1. sull’abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità (Legge Severino); 2. sulla limitazione all’applicazione delle misure cautelari; 3. sulla separazione delle funzioni dei magistrati; 4. sull’eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm. Insomma, i quesiti più importanti hanno superato il vaglio della Consulta.

In breve. Il quesito relativo all’abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità riguarda l’intera Legge Severino, pertanto, se vincessero i sì, verrebbero cancellate automaticamente tutte le norme vigenti dal 2012 sulla incandidabilità di parlamentari nazionali ed europei, sindaci, consiglieri comunali, regionali e presidenti di Regione.

La politica non sarebbe così più subordinata alla magistratura, che si vedrebbe sottrarre uno strumento molto invasivo per intervenire a gamba tesa sulla vita democratica del Paese. Il quesito sulla limitazione all’applicazione delle misure cautelari tende invece ad abrogare le norme che consentono ai magistrati di applicare la misura cautelare del carcere (cioè il cosiddetto carcere preventivo), fatta eccezione per i reati di mafia, quelli commessi con l’utilizzo delle armi e i reati di terrorismo interno ed internazionale. Il terzo quesito ammesso riguarda invece la separazione delle carriere dei magistrati. Sulla sua ammissibilità non v’erano dubbi, essendo già stato ammesso in passato ma senza esito abrogativo. Tale quesito mira ad abrogare le norme che consentono ai magistrati inquirenti di passare alla funzione di magistrati giudicanti e viceversa.

Se vincessero i sì all’abrogazione, si porterebbe a compimento il processo accusatorio di cui all’art. 111 della Costituzione, modificato nel 1999. L’ultimo requisito ammesso, forse quello “politicamente” più importante, riguarda l’abrogazione delle norme che non consentono ai magistrati togati di candidarsi al Csm sganciati dalle liste. Se l’esito del referendum fosse abrogativo, i giudici togati potranno candidarsi al Csm senza la necessita di appartenere a liste “politiche”, limitando così le correnti all’interno dell’organo di autogoverno della magistratura.

Su quest’ultimo quesito il governo ha cercato di giocare d’anticipo ed ha presentato pochi giorni fa un emendamento (sotto forma di disegno di legge) al progetto di legge che pende in Parlamento sulla riforma complessiva del Csm, ivi compreso il suo sistema di elezione. Se la riforma fosse approvata dalle Camere in via definitiva prima della data del referendum (da tenersi in una data compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno 2022), il quesito non sarebbe più  evidentemente oggetto di voto popolare per cessazione dell’oggetto referendario.

Il punto politico è chiaro. La Corte costituzionale ha palesemente sconfessato il governo ritenendo valido il quesito sul sistema di elezione del Csm, disinteressandosi del tentativo di Draghi di boicottare il referendum per indebolire Salvini. Il Ministro Cartabia, esempio di garantismo processuale, non ha però proposto l’adozione di un decreto-legge, limitandosi a presentare un disegno di legge che - fino al termine dell’iter parlamentare – è solo aria fritta.

Probabilmente anche per il Ministro una riforma organica della magistratura non può non passare dal referendum abrogativo, per la cui presentazione sono state raccolte oltre un milione di firme popolari. Ora non può che essere il popolo a decidere e il Parlamento a rispettare la volontà popolare. Draghi  ne prenda atto ed eviti di giocare sporco per fregare Salvini, il vero vincitore di questo primo tempo della partita.

Gli altri quesiti ammessi sono altresì fondamentali. Quello sulla Legge Severino toglie il cappio al collo al Parlamento, quello sulle misure cautelari tende a limitare all’osso il ricorso alla misura cautelare carceraria (sottraendo ai giudici l’infamia del “tintinnio delle manette”) e quello sulla separazione delle carriere conduce verso una effettiva parità tra accusa e difesa, come peraltro previsto dalla Costituzione e dal codice di procedura penale del 1988.

Tutti argomenti, questi, che abbiamo dettagliatamente affrontato nel nostro libroGiustizia, quale riforma? Una rotta liberale e garantista”, edito da “il Giornale” già nell’agosto scorso.

Nei prossimi giorni conosceremo la decisione della Corte sui restanti due quesiti. Quello sulla responsabilità diretta dei giudici presenta certamente un problema legato al “rapporto organico” tra magistrato e Stato, mentre quello minore sul diritto di voto di avvocati e professori universitari in materie giuridiche nei consigli giudiziari distrettuali lascerebbe scoperta la norma, necessitando di un successivo intervento normativo. Come che sia, già i quattro quesiti ammessi darebbero un colpo micidiale alla magistratura politicizzata e sarebbero se accolti un primo passo verso una vera riforma della giustizia. Se non ora quando?  

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