Riforma Cartabia, un rimedio necessario
Lapresse
Un amico lettore mi ha candidamente chiesto come mai fossi contrario alla riforma proposta dalla ministra Marta Cartabia. Inutile mostrarsi sbalorditi o indignati: se qualcuno ha potuto pensare ciò, è segno che devo essermi espresso male. Uno si sforza di essere chiaro, ma a quanto pare ci sono volte in cui la cosa non riesce.
Cominciamo riaffermando alcune ovvietà. Un rimedio può essere assolutamente necessario e contemporaneamente comportare controindicazioni. La gangrena può imporre l’amputazione di una gamba, ma nessuno può sostenere che l’amputazione di una gamba sia una cosa positiva. Solo che, se l’alternativa è la morte, ben venga l’amputazione.
Si tratta di bilanciare costi e ricavi. A chi soffre di un prurito non si può dare un rimedio che può provocare uno shock anafilattico ma, a chi sta morendo se non gli si dà quel rimedio, non soltanto glielo si deve dare, ma se necessario anche in dose tale da rischiare di ammazzarlo. Dunque criticare un certo tipo di provvedimento non significa per ciò stesso dichiararlo non necessario o da non adottare. (Continnua a leggere nella pagina successiva)
Proseguendo nell’esempio: se si è in grado di indicare un rimedio che non comporta rischi e sia altrettanto efficace, la critica è benedetta. Se invece ci si limita ad enumerare le controindicazioni, ciò non significa che si sia contro l’adozione di quel rimedio, ma al massimo che si deve essere pronti a tentare di porre rimedio alle conseguenze negative.
Torniamo alla riforma Cartabia. Per quel che ho capito, c’è il rischio che in parecchi grandi distretti di Corte d’Appello (fra gli altri Roma, Napoli, Catania, mica piccoli borghi) i tempi dell’appello, dato l’andazzo locale, sono incompatibili con i due anni prescritti. E dunque centinaia, forse migliaia di processi penali andranno in fumo. E allora non bisognerebbe applicare la riforma Cartabia? Assolutamente no.
Che dei processi penali vadano in fumo a migliaia è una catastrofe, ma dal momento che l’amministrazione della giustizia, in Italia, è una catastrofe in pianta stabile da ben più di mezzo secolo, ben venga qualunque riforma che ne acceleri i tempi, non importa quanto sommaria, brutale e brulicante di controindicazioni. Come ha più o meno detto la dott.ssa Cartabia, “lo status quo non è una proposta sul tavolo”. Cioè cambiare bisogna. E non perché ce lo impone l’Europa, ma perché abbiamo una disperata necessità di sciogliere questo nodo gordiano, anche con la spada. In questo senso l’imposizione dell’Europa è la benvenuta, come il famoso TSO (trattamento sanitario obbligatorio) per il pazzo pericoloso che rischia di far male al prossimo.
A tutti i critici della riforma Cartabia bisogna dunque dire: “Se indicate le controindicazioni e basta, potete risparmiarvi il fiato. Se invece avete dei rimedi da proporre, siamo qui per ascoltarvi”. E che la situazione sia da codice rosso al Pronto Soccorso è dimostrato dal fatto che la Cartabia quel testo non l’ha scritto una mattina in cui non aveva nulla da fare, ma prima ha sentito tutti, per mesi. E se dunque è arrivata alle determinazioni attuali, significa che – almeno a suo parere, e a parere dell’intero Consiglio dei Ministri – quel testo è il meno cattivo che si poteva scrivere. L’alternativa essendo “nessuna riforma”.
Il mio articolo del 21 luglio non era contro la riforma Cartabia, e infatti proponevo degli aggiustamenti. Basta rileggere il titolo: “Riforma Cartabia da riformare – Dopo averla approvata”. Traduzione: intanto approviamo questa riforma, con tutti i suoi inevitabili costi e difetti, poi cerchiamo di diminuirne i costi e di eliminarne i difetti. E come stupirsene? Per tornare all’esempio sanitario iniziale: se c’è il rischio dello shock anafilattico, e l’alternativa è comunque la morte, si somministri quel medicinale. Ma perché non tenere a portata di mano quell’adrenalina che potrebbe impedire al malato di morire non per la sua malattia, non per il rimedio somministratogli, ma per quello shock anafilattico cui l’adrenalina potrebbe porre riparo?
So che i tempi sono strettissimi, so che per qualche anno di questa riforma si vedranno innanzi tutto gli scandalosi effetti negativi, ma ciò non significa che non sia necessario cambiare rotta. Con la prudenza precedente, con le resistenze dei magistrati – forti dei loro inammissibili privilegi che ne legittimano persino la pigrizia – con la riluttanza al nuovo, con la ricerca dell’ottimo notoriamente nemico del buono, siamo arrivati ad una situazione scandalosa, ripetutamente condannata dalle autorità comunitarie. Un sistema giudiziario che frena gli investimenti esteri in Italia e ci relega agli ultimi posti in questa materia.
Tutto questo deve finire. Se è necessaria la chirurgia, si chiami il chirurgo. E se questo chirurgo – di nome Cartabia o Draghi – operando fa sanguinare il malato, cià fa parte del gioco. Il chirurgo non opera con le belle parole ma con un coltello molto affilato. E se quella chirurgia che fa scorrere sangue è l’unico sistema per aiutare il malato, essa non fa parte della criminologia ma è una delle branche più nobili della medicina. Del resto, persino l’immaginario cinematografico, se deve ipotizzare il medico eroe, ce lo presenta in camera operatoria.
Dunque, viva la riforma Cartabia. Ma pensiamo sin da oggi a come permetterne la realizzazione col minimo di inconvenienti.