Giustizia, riforma? Pannicelli caldi. Cartabia prenota il dopo Mattarella
Sulla giustizia la montagna ha partorito il classico topolino. Di Paolo Becchi e Giuseppe Palma
Tutti parlano di riforma epocale. Leggendo i giornali degli ultimi due giorni sembra di essere al cospetto della riforma del secolo. Ma se poi andiamo a vedere le carte l’impressione è quella che la montagna abbia partorito un topolino.
Stiamo parlando della riforma della giustizia che il Ministro Marta Cartabia ha presentato in Consiglio dei ministri, ricevendo l’ok unanime di tutti i partiti di governo. Un trampolino di lancio per l’ex presidente della Corte costituzionale verso il Quirinale. Ma di cosa si tratta esattamente? Il Ministro ha avanzato solo tre proposte in materia di procedura penale, niente invece in materia di riforma dell’ordinamento giudiziario. In poche parole, Cartabia ha portato in Consiglio dei ministri le sole proposte sulle quali c’è convergenza nel governo, con ragionevole probabilità che vengano approvate in Parlamento dai gruppi parlamentari che sostengono l’esecutivo Draghi.
Vediamo le tre proposte del Ministro:
Prescrizione: resta in vigore la norma introdotta dalla riforma Bonafede che prevede la sospensione dei termini di prescrizione al termine del giudizio di primo grado, con l’introduzione però di precisi termini di “improcedibilità”. Nel caso in cui non si dovesse giungere alla definizione del giudizio entro due anni dalla proposizione dell’appello e un anno dal deposito del ricorso per Cassazione, il reato verrà dichiarato “improcedibile”. I termini potranno essere prorogati di un anno per l’appello e di sei mesi per la Cassazione nel caso dei reati più gravi o di particolare allarme sociale, con la facoltà per l’imputato – in ogni caso - di rinunciare alla dichiarazione di improcedibilità qualora intendesse giungere ad una pronuncia definitiva (come già avviene per la prescrizione). Una proposta che accontenta solo dal punto di vista lessicale il M5S, che vede le sue norme sulla prescrizione salvarsi solo fino alla conclusione del primo grado di giudizio, poi cancellate dalla improcedibilità. Che si digerisce pur di restare attaccati alla poltrona! Con la improcedibilità, infatti, il processo muore se vengono superati i termini proposti dal Ministro. Sicuramente una misura di civiltà, ma stringi stringi si tratta di una proposta che non fa altro che rispettare le indicazioni della Ue che da decenni ci chiede la riduzione dei tempi dei processi. Nulla di nuovo sotto il sole, un intervento condivisibile ma senza dubbio di modesta portata.
Impugnazione in appello: l’idea del Ministro è quella di rafforzare il filtro in appello introdotto dalla riforma Orlando nel 2017 con l’introduzione di un ulteriore filtro, quello già previsto per il ricorso per Cassazione. La proposta del titolare del dicastero di via Arenula è quella di introdurre la dichiarazione di inammissibilità dell’atto di appello “per difetto dei motivi”, esattamente come avviene per il ricorso dinanzi alla corte di legittimità. Una proposta che non ci trova affatto d’accordo, infatti la funzione principale dell’appello è quella di sottoporre a tre giudici diversi la sentenza di condanna emanata dal tribunale e ritenuta ingiusta dall’imputato. Nessuna preclusione può essere imposta a questo diritto. Dal codice di procedura penale del 1865 all’entrata in vigore della riforma Orlando (2018) era sufficiente che l’imputato, personalmente e/o attraverso il suo difensore, depositasse presso la cancelleria del giudice che aveva emesso la sentenza ritenuta ingiusta una semplice dichiarazione di voler proporre impugnazione in appello, senza neppure specificare i motivi (la cosiddetta impugnazione con riserva di motivi), che poi venivano esplicitati in un momento successivo. Se la proposta del Ministro fosse approvata dalle camere, e crediamo che vi siano buone possibilità che ciò accada, l’imputato rischia di vedersi negato il giudizio di appello perché sommariamente ritenuto inammissibile dalla Corte (con quali criteri oggettivi ancora non si sa), precludendo il suo sacrosanto diritto di ottenere una (ri)discussione del merito in sede di gravame (la cosiddetta revisio prioris instantiae). E questa sarebbe la grande riforma della giustizia? Sarebbe questa l’idea che i “migliori” hanno del garantismo processuale?
Criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale e nella trattazione dei processi: la proposta del Ministro è quella di determinare per legge criteri di priorità trasparenti e predeterminati sia nella scelta dei reati ai quali dare priorità rispetto ad altri, sia nella trattazione dei procedimenti, così come già oggi avviene attraverso le indicazioni stabilite dai vertici degli uffici giudiziari titolari dell’azione penale sulla base delle circolari ministeriali sottoposte all’approvazione da parte del Csm. L’idea del Ministro è quella di attribuire dignità di rango ordinario a norme di carattere amministrativo, in modo tale da garantire trasparenza ed evitare disparità di trattamenti da un distretto giudiziario ad un altro. La proposta a nostro avviso ha un limite: predeterminare per legge (dunque attraverso una fonte del diritto di rango ordinario che di per sé presenta i caratteri della generalità ed astrattezza) criteri di priorità sia nell’esercizio dell’azione penale che nella trattazione dei processi valevoli per l’intero territorio nazionale, non tiene conto delle diverse realtà territoriali. Come si può pensare che la Sicilia, la Calabria e la Campania abbiano le medesime priorità (tanto nell’ esercizio dell’azione penale che nella trattazione dei processi) del Veneto, della Lombardia e del Piemonte? Come può una legge dello Stato determinare a priori criteri di priorità validi per tutto il territorio nazionale senza tenere conto delle realtà territoriali dei singoli distretti? I dubbi restano.
Il dato di fatto saliente è quello che, nonostante il lavoro svolto dalle due Commissioni istituite dal Ministro poco dopo essersi insediata in via Arenula (Luciani sull’ordine giudiziario e Lattanzi sui processi), da quelle due relazioni ha preso ben poco. Della relazione prodotta dalla Commissione Luciani il Ministro al momento ha fatto finta che non esistesse, sui lavori della Commissione Lattanzi i punti nevralgici sono rimasti fuori. Si pensi alla proposta della Commissione Lattanzi di rendere inappellabili le sentenze di non luogo a procedere o a quella di rendere più conveniente all’imputato la scelta dei riti alternativi per via di maggiori benefici in termini di pena. Oppure alla proposta di estendere le ipotesi in cui il giudice potrebbe pronunciare sentenza di assoluzione per particolare tenuità del fatto. Le proposte avanzate dal Ministro lasciano fuori tutto questo, al pari della riforma del processo civile, completamente assente e dimenticata. Eppure, in materia di procedura civile la Commissione Lattanzi proponeva un più ampio ricorso agli strumenti alternativi al processo, come ad esempio la mediazione civile e commerciale che negli ultimi otto anni ben ha funzionato, ma il Ministro si è limitata a questioni non in grado di imprimere una vera svolta al tema giustizia.
Il Ministro Cartabia al momento ha avanzato le sole proposte sulle quali era possibile un’intesa tra tutti i partiti della maggioranza di Governo, compresi i 5 Stelle. la presa di posizione critica di Conte è strumentale alla lotta interna al MoVimento. Tre proposte che riguardano il processo penale e nessuna che riguardi l’ordinamento giudiziario. Considerato che quattro dei sei quesiti referendari proposti da Lega e Radicali riguardano esclusivamente l’ordinamento giudiziario (sistema di elezione del Csm, separazione delle carriere, equa valutazione dei magistrati e responsabilità civile diretta dei giudici), mentre gli altri due – in materia di processo penale - non rientrano tra le proposte di riforma avanzate dal Ministro (custodia cautelare ed effetti della Legge Severino), è auspicabile che Cartabia non voglia mettersi di traverso al percorso dei referendum, che al momento restano l’unica strada per una concreta riforma dell’ordinamento giudiziario. Il Ministro proprio stamattina ha detto che a breve si occuperà anche di Csm, ma non sappiamo come voglia intervenire e se lo farà per impedire l’ammissibilità di quel particolare quesito referendario sull’obbligo di candidarsi solo in liste organizzate. Staremo a vedere.
Per ora le tre proposte avanzate dal Ministro Cartabia non sono la risposta ai problemi della giustizia, solo pannicelli caldi. Uno strumento per prenotarsi il settennato al Quirinale dopo Mattarella, e come vorrebbe Mattarella. Per fortuna che ci saranno i referendum. Forse.