Fisco, fuorviante parlare di aumento delle tasse per il ceto medio. I numeri parlano chiaro. Eccoli
Tutto ciò che non torna nel discusso artico di Repubblica
Altra cosa che viene trascurata da Repubblica è che nella Manovra 2025, Il taglio del cuneo fiscale, già applicato in via temporanea nel 2024, diventa a tutti gli effetti strutturale
Ha destato una certa impressione un recente articolo di Repubblica, che denunciava come le nuove misure sul fisco del governo, avrebbero avuto l’effetto paradossale di alzare le tasse a chi guadagna da 32.000 euro a 40.000 euro, con un'aliquota marginale al 51,18%. Al di là della fonte, che certo non si può definire proprio un esempio di imparzialità verso il governo di centrodestra, la cosa comunque ha sicuramente destato una certa curiosità e merita certamente un approfondimento magari più tecnico e scevro da possibili strumentalizzazioni politiche. La Repubblica nel suo articolo, cita il rapporto dell’ufficio di bilancio del parlamento, pubblicato il 5 novembre scorso “Nonostante la riduzione del numero di aliquote legali disposta con il decreto attuativo della delega, il numero delle aliquote marginali effettive aumenta, passando da 4 a 7, e il loro andamento risulta più irregolare, con valori che raggiungono il 50% per i redditi compresi tra 32.000 e 40.000 euro". Scrive l’Ufficio Parlamentare di Bilancio nel documento dell'audizione sulla manovra, analizzando il nuovo disegno dell'Irpef con il bonus di sostegno al reddito.
La tabella però non indica i valori medi applicati, ma l'andamento delle aliquote di ogni singolo scaglione, quindi le aliquote 'marginali', cioè quelle che vengono applicate sull'ultima parte di reddito guadagnata dai contribuenti. Come ha subito spiegato il ministero di Via XX settembre in realtà le aliquote scendono per tutti gli scaglioni di reddito, e quindi anche per quelli da 32.000 a 40.000. La differenza che non si sa, quanto volontariamento o meno, Repubblica omette di citare, è proprio nella marginalità, su cui viene fatto il calcolo. Tanto per intenderci si definisce aliquota media il rapporto fra l'imposta pagata e la base imponibile, mentre per aliquota marginale si intende il rapporto fra l'incremento dell'imposta e l'incremento dell'imponibile. Dal confronto fra valori dell'aliquota media e valori dell'aliquota marginale è possibile trarre indicazioni sul tipo di imposta applicata: nel caso di imposta proporzionale, le aliquote medie e marginali coincidono, nel caso di imposte progressive, invece, l'aliquota marginale è superiore all'aliquota media (in buona sostanza la manovra garantirebbe, come da sempre chiesto dalla sinistra, una maggiore progressività nel criterio di pagamento delle tasse).
Lo spiega molto bene, in una intervista a Il Giornale, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, GiovanBattista Fazzolari. «Solo per fare un paio di esempi, seguendo la logica di Repubblica, l'introduzione del cosiddetto bonus Renzi ha comportato, per i redditi tra 24 e 26 mila euro soggetti al décalage del beneficio, un'aliquota marginale effettiva Irpef del 79,5%», ricorda Fazzolari aggiungendo che «la successiva revisione operata del governo Conte 2 ha comportato, per i redditi tra 35 e 40 mila euro, un'aliquota marginale effettiva Irpef del 60,82%».
Ma nessuno allora aveva avuto nulla da obiettare malgrado le aliquote marginali fossero cresciute di più di quelle attuali. «L'unica soluzione per non avere un meccanismo di tal genere - conclude il sottosegretario - sarebbe prevedere benefici di natura fiscale senza alcun limite di reddito, senza alcuna soglia, oppure non prevedere alcuna agevolazione per i redditi medio bassi, evitando così di creare la polemica inesistente sul livello delle aliquote marginali effettive, cavalcata per ragioni politiche o semplicemente per analfabetismo fiscale».
Sempre attingendo alla fonte di Repubblica l’Ufficio parlamentare di Bilancio in sede di audizione sulla manovra, precisa anche che il taglio del cuneo 2025 - a detta dello stesso Upb - risulta «più vantaggioso rispetto alla precedente decontribuzione per circa 5,7 milioni di lavoratori dipendenti e l'entità media dei benefici sarà significativamente superiore». Di questi soggetti circa 3,7 milioni non erano interessati dallo sconto contributivo e otterrebbero un vantaggio medio di circa 589 euro. «Si tratta principalmente di contribuenti con un reddito totale elevato ma un reddito relativamente basso da lavoro dipendente», spiegava l'Upb rimarcando che «tale modifica elimina la distorsione distributiva precedente, in cui i benefici della decontribuzione si estendevano anche a soggetti con elevata disponibilità economica derivante da altre fonti di reddito».
Per tutto il resto bisognerà aspettare i risultati del concordato preventivo biennale. Altra cosa che viene trascurata da Repubblica è che nella Manovra 2025, Il taglio del cuneo fiscale, già applicato in via temporanea nel 2024, diventa a tutti gli effetti strutturale. Attualmente, il cuneo fiscale in Italia si attesta al 45,9%, tra i più alti nei Paesi dell’Ocse. Ciò significa che un’azienda spende oltre il doppio del netto erogato al dipendente. In pratica, uno stipendio netto di 1.500 euro, in Italia, costa all’azienda circa 3.150 euro. Tra le misure di rilievo, poi spiccano il rafforzamento delle agevolazioni per i congedi parentali e l’introduzione della “Carta per i nuovi nati”, che riconosce un contributo di 1.000 euro alle famiglie con Isee inferiore a 40.000 euro per le prime spese di ogni nuovo nato. Insomma, pur con tutti i limiti di una manovra fiscale che ha dovuto fare i conti con le solite croniche carenze di bilancio pubblico, affermare che il governo abbia aumentato le tasse al ceto medio, appare quantomeno un poco fuorviante.
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